Cartoline da Stoccolma / Parte 2

[di Lisa Topi]

La prima parte del post Cartoline da Stoccolma racconta alcuni esempi di come la dimensione collettiva del pensiero, nella capitale svedese, si rispecchia in scelte architettoniche desiderabili e intelligenti.

Ci sono tre luoghi a Stoccolma, due fiabeschi e uno reale, che a me hanno fatto particolarmente riflettere sulla storia, la letteratura, l’estrema serietà dell’essere bambini. Il primo è Skansen, primo museo a cielo aperto del mondo. Nel 1891 Artur Hazelius decise di trasportare oltre un centinaio di costruzioni rurali risalenti a epoche diverse - case, botteghe, scuole, fattorie e molto altro - da tutta la Svezia alla capitale. Consapevole che la vita agreste con la crescita dell’industrializzazione fosse prossima alla sparizione, il signor Hazelius pensò di mettere in mostra non soltanto gli edifici, ma anche i manufatti, le tecniche, i modi di vivere del passato. È vero, trapela da questa gigantesca opera una visione folkloristica e nazionalistica della cultura che oggi ci fa sorridere, se non storcere il naso. Digerendo a fatica le rievocazioni storiche, una parte di me era molto ostile all’ambiente in costume. Eppure, a Skansen non si respira l’aria di un’attrazione turistica, perché si è riusciti a mantenere un’impressione di autenticità, grazie alla dispersione delle costruzioni in un paesaggio molto verde e poco addomesticato e anche grazie alla discrezione di tutto l’apparato organizzativo. Così, entrare in una piccola scuola dell’ottocento può diventare strano e toccante.

 



La facciata della scuola di Skansen, l'interno e dettagli dei banchi.

 


Su Wikipedia nella biografia di Artur Hazelius si legge: Nel 1878 [...] all'esposizione di Parigi [...] propone un exhibit molto particolare. Si tratta di un quadro vivente, dal titolo “L'ultimo letto della bambina” in cui ricrea fedelmente l'interno di una stanza e ricostruisce l'immagine di una famiglia in lutto raccolta intorno alla bambina. L’immagine è profondamente sconcertante, però ne richiama un’altra alla mia memoria da un capolavoro della letteratura italiana, ingiustamente poco conosciuto, Giù la piazza non c’è nessuno di Dolores Prato. Ai primi del novecento, a Treia, nella provincia marchigiana, se una donna partoriva un bambino morto doveva seppellirlo lei stessa. Da sola. Portando sulla testa una cassetta bianca, le madri in lutto s’inerpicavano per la collina verso il cimitero sotto lo sguardo dei bambini in strada. Nel romanzo i nomi degli oggetti, la fisionomia delle stanze e del paese hanno un peso narrativo e antropologico. A differenza di oggi, la morte allora era ben presente nel linguaggio e nella pratica rituale ed estetica della vita di tutti i giorni. L'ultimo letto della bambina potrebbe intendersi in questo senso e non per forza come un macabro spettacolo voyeuristico. In mezzo al subbuglio di visitatori che spiano sotto i tetti bassi, anche il parco di Skansen, pur nella messa in scena, intesse una trama storica. 

 


Le più antiche case di Skansen.



Casa con zampe di gallina.


Un altro posto che mi ha molto colpito è lo Junibachen, la casa dei bambini, dove uno Storybook Train ti porta in viaggio nei libri di Astrid Lindgren. Il percorso sembra pensato per spettatori: si costeggia la fattoria di Lönneberga dove Emil ha appeso sua sorella Ida in cima all’asta di una bandiera, il bosco  di Ronja, la casa in fiamme dei fratelli Cuordileone.... ma improvvisamente si entra in una stanza minuscola e da lì, con un sussulto, si vola con Karlsson sui tetti. La scelta dei testi, della musica, dei passaggi luce-buio è molto accurata e le incredibili scenografie sono opera di Marit Törnqvist, con la quale Astrid Lindgren lavorò a stretto contatto.




Lo Junibachen.


La madre di Marit Törnqvist era la traduttrice in lingua olandese dei libri della Lindgren la quale amava molto frequentare la casa di campagna dei Törnqvist in Svezia. Sul suo sito, l’artista racconta che era molto affascinata dalla figura di Astrid Lindgren che passò un intero pomeriggio a saltare sul fieno insieme a loro bambini. Racconta anche che, diventata in seguito l’illustratrice di quasi tutti i suoi libri, fece un viaggio in mongolfiera insieme alla Lindgren ultra-ottantenne per risolvere l’ambientazione problematica di una scena di In the land of Twilight.

 


Marit Törnqvist e Astrid Lindgren. Casa di Astrid Lindgren. Immagine © Marit Törnqvist www.marittornqvist.nl.


Marit Törnqvist e Astrid Lindgren si allearono in una lunga battaglia per far sì che lo Junibachen diventasse qualcosa di più di un parco d’intrattenimento. Seduta sullo Storybook Train pensavo che tutti i bambini dovrebbero aver diritto a Marit Törnqvist e Astrid Lindgren, dovrebbero poter formare una propria visione del mondo a cominciare dalla letteratura, che come pochi altri prodotti umani è in grado di dotarci di una struttura.

 


Alcuni personaggi delle scenografie dello Junibachen. Immagine © Marit Törnqvist www.marittornqvist.nl.



Disegni preparatori e scenografie in costruzione allo Junibachen. Immagine © Marit Törnqvist www.marittornqvist.nl.





Ida appesa all'asta della bandiera.


Un delizioso piatto di bambini allo Junibachen!

 
Così come avveniva per la versione cinematografica di Pippi Calzelunghe, la Lindgren era molto attenta a tutte le trasposizioni dei suoi romanzi. Del suo eccezionale rigore ho avuto prova durante la visita alla casa di via Dalagatan 46. Tutte le mattine intorno alle cinque Astrid Lindgren iniziava a scrivere pagine in stenografia, che poi batteva a macchina (motivo per cui non esistono brutte copie dei suoi manoscritti). Le maglie del tappeto della sua camera da letto sono consumate in un unico punto, lo stesso in cui a ogni risveglio appoggiava i piedi. La sua giornata, poi, si divideva tra il lavoro di scrittura e di editor per la casa editrice Raben & Sjögren, benché riservasse quotidianamente alcuni spazi inviolabili ai figli. 

 


La porta dell'appartamento di Astrid Lindgren in via Dalagatan 46.

 
Johan Palmberg, pronipote della Lindgren, si occupa della gestione dei diritti d’autore dei suoi romanzi. Accogliendoci nel soggiorno dell’appartamento, dove solo i cordoni sulle sedute delle poltrone ricordano che la casa non è più abitata, ci ha raccontato i punti salienti della biografia della scrittrice che, cresciuta in una fattoria a Vimmerby, passò gran parte della sua - non facile - vita a ricreare il calore e la libertà dell’aria respirata da bambina. 

 


Astrid Lindgren nel suo studio.
 
Sulla scrivania dello studio sono appoggiati gli occhiali che, insieme a pochi altri oggetti (vedi il tappeto e le poltrone), richiamano la figura privata di Astrid Lindgren. Forse per questo mi è venuto d’istinto associarli a quelli di mia nonna: solo dopo la scomparsa degli occhi che li reggevano, ho capito che non erano altro che occhiali privi di vita per cui guardarli mi era diventato insopportabile. Chissà se anche per Johan Palmberg è così? Alla fine della visita non ho resistito alla tentazione di porgli una domanda su come fosse stato avere Astrid Lindgren come bisnonna. La sua risposta è stata: “Astrid era sempre così con i bambini: li trattava come se fossero solo delle persone, senza distinguerli dagli adulti.” Ed è questo anche l’aspetto più innovativo, e all’epoca controverso, dei suoi romanzi. Ha anche aggiunto: “negli ultimi anni però era diventata una vecchissima signora (mimando il gesto di un corpo che si rapprende) anche per noi”. 
Ecco, immaginate gli ultimi anni in cui Astrid Lindgren a malapena riusciva a vedere e a sentire, perciò chiunque le capitasse davanti doveva presentarsi ad alta voce. Immaginate Karl Gustav XVI, che avvicinandosi a lei - probabilmente in imbarazzata contravvenzione ai protocolli diplomatici e all’etichetta - si sporge a mano tesa, gridando “il Re!”. A me questo aneddoto ha fatto molto ridere, credo che lo stesso sia stato per Astrid Lindgren, il cui senso dell’umorismo era sicuramente pari alla statura intellettuale. 
Il Re di Svezia è nudo! Esulterebbe uno dei suoi personaggi. Viva il Re!