Questo blog si occupa spesso di scuola e di progetti didattici realizzati per educare bambini e ragazzi al lavoro di gruppo, alla messa a fuoco di abilità e risorse personali in relazione a compiti nuovi e collettivi, alla scoperta di conoscenze che riguardano il proprio mondo, e che servono ad allargare l'orizzonte che lo riguarda. Per questa ragione, questo progetto ci è sembrato straordinario. La stòria è bela, fà piasì cuntela è un libro di stoffa che racconta il territorio della città di Alba e ha preso forma nel 2015, nell'asilo aziendale Casa dei Bambini Elena e Gabriella Miroglio, realizzato dai bambini e dalle maestre, con il supporto creativo e organizzativo della Fondazione Elena e Gabriella Miroglio. Un grosso aiuto hanno dato anche le nonne e i nonni dei bambini, che hanno insegnato ai piccoli a cucire, hanno spiegato le parole del dialetto e raccontato storie del passato e sui cibi della tradizione. È una storia bellissima, quella di questo libro. Ve ne consigliamo la lettura.
[a cura di Fondazione Elena e Gabriella Miroglio]
Tanto tempo fa, nel territorio delle Langhe, in Piemonte,
si raccontava ai bambini la filastrocca per dormire.
È una favola che inizia così: “La stòria è bela, fà piasì cuntela
(fa piacere raccontarla),
t’ voli ch’ t’la cunta? (vuoi che te la racconti?)”.
A qualsiasi risposta d’la masnà (del bambino),
si ricominciava: “Vanta nen dì parei (non bisogna dire così)
perché la storia è bela, fà piasì cuntela, et veuli ch’ et la cunta?”.
Si andava avanti così, fino a quando il bambino si addormentava.
Con questa filastrocca abbiamo voluto intitolare il nostro lavoro,
che è stato pensato come una sorta di viaggio,
attraverso il nostro territorio: le Langhe.
E come tutti i viaggi, una volta terminato, lo si vorrebbe iniziare di nuovo,
e poi di nuovo, fino all’infinito,
proprio come la filastrocca per far dormire i bambini.
È un viaggio che dura ipoteticamente una settimana: dal lunedì alla domenica. Ogni giorno è la scoperta di un luogo nuovo,
di un profumo nuovo, di un colore nuovo, è un’esperienza nuova.
Perché la Langa è così
e, se ci vieni una volta, ci torni la seconda e poi la terza
e, alla fine, ti innamori. Dal 2014 le nostre Langhe sono Patrimonio Artistico Mondiale Unesco.
La Casa dei Bambini Elena e Gabriella Miroglio è un asilo aziendale, nato nel 1958, per volontà del commendator Giuseppe Miroglio, imprenditore illuminato, con un forte senso di responsabilità sociale.
L’asilo oggi accoglie i figli dei dipendenti Miroglio da uno a sei anni di età. Per il concorso “1, 2, 3, ... terra!”, organizzato dal FAI, abbiamo deciso di realizzare un libro in stoffa perché i tessuti sono l’attività tradizionale della nostra azienda.
È un libro multisensoriale, composto da sette capitoli, uno per ogni giorno della settimana.
Ogni giorno è associato a un colore del territorio, che si ritrova nei ricami interni, realizzati dai bambini, e nel filo di rilegatura.
Si va dunque dal rosso mattone: il colore dei castelli, all’azzurro del cielo di primavera, quando l’immagine del Monviso si staglia limpida sullo sfondo delle colline; dal verde dei vigneti e della flora locale, al giallo ocra delle orme della fauna; dall’indaco al violetto degli acini d’uva e del vino, ai toni autunnali dell’arancione vivo del mercato del sabato, per arrivare al colore della terra dei cibi tradizionali.
Il libro è stato realizzato da tutti i bambini della scuola materna e del nido, guidati dalle insegnanti di sezione. Durante la progettazione del libro, le maestre hanno raccontato ai bambini la storia dei castelli delle Langhe e delle cento torri di Alba. Li hanno aiutati a riconoscere le orme dei diversi animali, insegnato i nomi dei vari alberi e spiegato come e dove nascono i tartufi.
Al progetto hanno collaborato le nonne, che hanno seguito i bambini durante il laboratorio sartoriale, nella realizzazione di tutti i ricami interni, dei
tagli di tessuto e delle cuciture. Fondamentale è stato l’aiuto dei nonni, correttori di bozze del dialetto piemontese, che hanno raccontato ai bambini gli aneddoti sul mercato e le tradizioni piemontesi legate al cibo. Li hanno accompagnati alla gita in cantina e hanno spiegato loro perché un vino sa di violetta e un altro di cuoio o di liquirizia.
Tutti i testi interni sono nati spontaneamente dai bambini durante la realizzazione del libro.
Questo progetto ha permesso loro di conoscere più a fondo il nostro territorio. I bambini, infatti, hanno avuto modo di aprirsi a realtà nuove, vicine, ma a volte dimenticate. Hanno collaborato in sinergia per realizzare un progetto, che ha stimolato in loro quella giusta e sana curiosità che un giorno li spingerà a proporre ai genitori gite ed escursioni in uno dei luoghi più incantevoli e ricchi di cultura e di tradizioni: la nostra Langa.
Il viaggio inizia il lùnes (lunedì) da Alba, la capitale delle Langhe.
Città d’origine romana, l’antica “Alba Pompeia” terra natale dell’imperatore Publio Elvio Pertinace, è anche nota come la “città delle cento torri”, per
le numerose torri medievali, che si ergevano imponenti sopra le sue case, racchiuse nel centro storico. Oggi ne rimangono poche poiché la maggior parte di esse fu abbattuta nell’Ottocento.
Sulle colline che la circondano ci sono i castelli, costruiti a formare una corona.
I più noti sono: il castello di Barolo, che risale all’alto Medioevo e sorge nel centro del paese; il castello di Serralunga d’Alba, eretto nel Trecento, che svetta oltre le colline delle Langhe con la sua forma allungata e dalla cui sommità si ha il controllo di gran parte del territorio comunale.
Fra una folta distesa di vigneti fa capolino la sagoma massiccia del castello di Grinzane, costruito nel Duecento e al quale, nell’Ottocento, fu aggiunta la denominazione Cavour in omaggio al grande statista risorgimentale che da sindaco governò il paese.
Al di là del Tanaro, sulla sponda sinistra, c’è il castello di Magliano Alfieri, che nel Medioevo fu un borgo con funzione militare di difesa.
Alba è attraversata dal fiume Tanaro, la cui linea divide in modo netto le Langhe, la parte destra del territorio, dal Roero, la parte sinistra.
Con l’aiuto di un’insegnante, che ha fatto per anni la guida turistica, i bambini hanno approfondito la conoscenza di Alba, delle sue torri medievali e dei castelli, distinguendone le particolarità e le differenze.
Per ogni castello hanno ritagliato la sagoma sul tessuto, l’hanno cucita a mano, durante il laboratorio sartoriale e l’hanno impreziosita, dipingendone i dettagli. Hanno poi nascosto sotto ogni castello guardie, re e regine.
Anche la sagoma della città di Alba è stata interamente ricamata da loro, con l’aiuto delle nonne.
Il fiume Tanaro e i pesciolini sono stati dipinti con le tempere direttamente sulla stoffa.
Il viaggio continua il martès (martedì) con la vista dell’intero arco alpino occidentale, su cui domina il Monviso, che si staglia, imponente, dall’alto dei suoi 3841 metri, sullo sfondo delle suggestive colline delle Langhe.
Come da un balcone naturale che si affaccia sulla pianura piemontese lo sguardo abbraccia uno spazio sconfinato che sfuma verso la corona delle Alpi.
È un cielo magico quello, di un blu intenso in primavera, che si tinge di rosa all’ora del tramonto, per assumere i toni accesi delle striature delle nuvole quando il sole sparisce e regala momenti di indimenticabile poesia.
D’inverno, il bianco candido della neve avvolge il paesaggio e trasforma la punta del Monviso e delle colline in isole sospese in un mare di nebbia, esprimendo tutto il suo fascino e il suo mistero.
Abbiamo voluto dedicare una pagina alla vista del Monviso, che si può scorgere da ogni punto delle Langhe ed è diversa in ogni momento dell’anno e della giornata.
I bambini hanno cercato di rendere l’effetto del cambio di stagione, attraverso un gioco di sovrapposizione di tessuti di pesi diversi.
Così il paesaggio, con l’aiuto di un leggero strato di organza, passa dalla primavera con i campi in fiore all’inverno avvolto nel bianco della neve e della nebbia.
Il mèrcol (mercoledì) è il giorno dedicato al verde delle colline, alla flora locale e, in particolare, al “tuber magnatum pico”, il noto tartufo bianco d’Alba.
Il tartufo vanta una storia secolare, una delle sue prime apparizioni risale addirittura intorno al 1600 a.C., ai tempi del patriarca Giacobbe.
Nei secoli a venire molti personaggi sono stati inebriati dal suo aroma: Plutarco, Giovenale, Cicerone, Sant’Ambrogio, Napoleone. Racconta la leggenda antica dei contadini delle Langhe che il tartufo nasce da un raggio di luna e che la luna penetra la terra nel segreto più assoluto.
Il raggio di luna scivola giù fino alle radici dell’albero preferito, l’unico che conosce il segreto. L’albero, che viene scelto, è felice di conservarlo per sempre e di non rivelarlo a nessuno.
Più il raggio di luna è candido, più il tartufo è bianco.
I bambini, durante diverse uscite nei boschi della Langa, hanno raccolto le foglie delle piante del territorio: quercia, tiglio, nocciolo, castagno, faggio, carpino, betulla, acero campestre, ciliegio selvatico, gaggia, gelso, vite. Hanno scoperto arbusti, i cui fiori rendono magico il paesaggio, come la rosa canina, il pioppo, spesso accompagnato dal più piccolo salicone.
Tra le erbe spontanee, hanno raccolto le più comuni: la violetta, il trifoglio, il biancospino, il tarassaco, le pratoline e la bocca di leone.
Una volta tornati in asilo, le hanno immerse nel colore e timbrate sul tessuto.
Hanno poi nascosto un tartufo bianco sotto le piante dove, tipicamente, nasce il pregiato tubero e, attraverso il gioco del cane che va a cercarlo, hanno imparato quali sono le piante da tartufo.
Il giòbia (giovedì) è il giorno dedicato agli animali, alla fauna delle Langhe.
La Langa ospita specie caratteristiche di ambiente mediterraneo, come la cincia del ciuffo, il cuculo, l’allocco e il codirosso spazzacamino, che qui sverna. A questo gruppo si può aggiungere la popolazione di pernici rosse e di fagiani.
È diffusa la presenza di cinghiali: lungo il percorso talvolta si notano le
orme nelle pozzanghere fangose, nelle quali si rotolano e i segni lasciati sui tronchi dallo sfregamento del loro corpo; con questo comportamento, molto frequente, tengono pulito il loro pelo dai parassiti.
Un altro mammifero che popola i boschi delle Langhe è il capriolo, animale oggi in espansione. Si possono scorgere le sue tracce lungo i sentieri e gli scortecciamenti di rami giovani, per segnalare il territorio.
È documentata anche la presenza di altri mammiferi quali volpe, tasso, lepre, scoiattolo, riccio. Alcuni di questi gliridi sono particolarmente ghiotti di nocciole, la preziosa “Tonda e Gentile delle Langhe”.
I bambini, durante una passeggiata nel bosco, hanno fotografato le orme di caprioli, cinghiali, scoiattoli, tassi e lepri.
In asilo hanno avuto modo di incontrare un veterinario che li ha intrattenuti un’intera mattina, parlando loro di tutti gli animali della nostra zone e in particolar modo dei ricci, verso cui nutre una particolare passione.
Ha insegnato loro le abitudini di ogni piccolo abitante delle nostre colline, facendo passare naturalmente il profondo senso di rispetto e di attenzione nei loro confronti.
Con le insegnanti hanno poi inciso le orme sui timbri e le hanno stampate sul tessuto.
Sotto ogni orma, hanno disegnato l’animale corrispondente e ne hanno ricamato il nome.
Il venner (venerdì) è tinto di indaco per celebrare l’uva e il vino, tipico frutto delle Langhe.
Alba è terra di vigneti pregiati e di grandi vini di qualità, quali la Barbera, il Dolcetto, il Nebbiolo, il Barbaresco e il Barolo.
I bambini hanno visitato la cantina di Fontanafredda, una delle più antiche e prestigiose tenute vitivinicole italiane, che vanta 155 anni di storia. Appartenuta al re di Vittorio Emanuele II, venne donata a Rosa Vercellana, detta la “Bela Rosin”, di cui il re si innamorò perdutamente. La “Bela Rusin” divenne poi Contessa di Mirafiore e moglie morganatica del re.
Tornati all’asilo, i bambini hanno realizzato gli stampi dei vari grappoli di uva utilizzando il sughero dei tappi, intinti nei vari tipi di vino.
A ognuno di essi hanno associato un profumo, la cui essenza è stata spruzzata sullo stampo corrispondente, creando delle pagine olfattive.
E così alla Barbera, vino che si abbina bene con la bagna cauda, salumi e formaggi, hanno associato sentori di rosa, ciliegia, e mora.
Al Dolcetto, da sempre il vino quotidiano dei piemontesi, vino dai toni rubino e violacei, profumi di prugna, ribes e mirtillo.
Il Nebbiolo, il cui nome deriva dalla nebbia che avvolge il vigneto durante il periodo della vendemmia, ha profumi di viole, fragoline di bosco, e pepe verde, con sentori di liquirizia, cuoio e tabacco.
Il Barolo è un vino aristocratico, quello che la marchesa Giulia Falletti Colbert aveva inviato in omaggio al Re Carlo Alberto di Savoia. Ne aveva spedito una carrà (fusto) per ogni giorno dell’anno e siccome la nobildonna era molto devota, aveva escluso i giorni quaresimali. Questo vino libera note di cacao, vaniglia, tabacco e ciliegie sotto spirito.
Il Barbaresco, considerato uno dei più grandi vini al mondo insieme al Barolo, ha profumi di lamponi, nocciole e liquirizia.
Il saba (sabato) ad Alba la giornata comincia col mercato e sono secoli che
è così e la gente arriva in città dalle campagne circostanti per scambiare
la propria merce. Si ha voglia di uscire, di fermarsi a chiacchierare con gli amici, di comprare quel tanto che basta, in un clima allegro e spensierato, che assume i toni dell’arancione.
Nel giorno di mercato c’è un gran chiasso, bancarelle ovunque, il vociare delle persone in sottofondo e odori e colori intensi.
Pensare al mercato ci fa subito venire in mente quello dei bozzoli da seta, i famosi “cuchèt”, che Giuseppe Miroglio acquistava nei primi anni cinquanta. Durante il mercato arrivavano contadini da tutte le zone dei gelsi e stendevano i teloni con i bozzoli a piramide.
L’attività, dalla coltura del gelso all’allevamento del baco, coinvolse e rivoluzionò il mondo contadino, in particolare il lavoro femminile e segnò l’economia langarola. Le donne, che allevavano le piccole colture di bachi da seta, crescendoli su stuoie di canne, tenute in tutte le camere della casa, ricevevano il primo guadagno dalla vendita del prodotto di seta grezza.
Il mercato “dij cuchèt” di Alba diventò una delle principali attività della città e la piazza San Giovanni venne anche detta la piazza dei “cuchèt” o dei bozzoli.
Dallo sviluppo del baco alla formazione del bozzolo passavano quaranta giorni, che corrispondevano ai quattro sonni dell’insetto.
I l quarto sonno era il più lungo e da qui il particolare modo di dire “dormire della quarta”, un detto utilizzato ancora oggi nella Langa.
Al mercato, oltre ai venditori di bozzoli, c’erano anche i banchi degli artigiani: i “saroné”, che riparavano le ruote dei carri agricoli, i “fré” (fabbri), i “meistr da bosch” (falegnami), i “cadreghé” (seggiolai), che impagliavano le seggiole, i “bottai” che aggiustavano le botti vecchie, i “cestau”, che cotruivano ceste in vimini, i “magninn” (spazzacamini), i “muleta” (arrotini), gli n’ciuè (acciugai), i “feracaval” (maniscalchi).
Alba attirava anche la folla dedita alle professioni più strane per sopravvivere. Così il “bacialé”, il sensale dei matrimoni, informato di patrimoni e ragazze da sposare, che, già nel Medioevo, combinava le coppie (cubiòt) in cambio di “un paletot nuovo”.
I canstastorie erano l’immagine ingenua, spesso infantile del mercato. Raccontavano storie magiche del passato, in cambio di un piatto di minestra e un bicchiere di vino.
C’erano i ciarlatani, che si muovevano tra fiere e mercati di tutti i paesi e spesso venivano citati in tribunale come imbroglioni. Mescolati alla folla c’erano i mediatori, che trattavano soprattutto i bozzoli, il bestiame e le uve. Il “giugarela”, professionista del gioco, lo si vedeva con l’abito a quadretti, le scarpe di camoscio e i capelli impomatati. Giocava a carte e arrotondava
i guadagni delle fumose bische clandestine con i biglietti che riceveva dai forestieri. Il “giugarela” frequentava anche lo sferisterio e faceva le traverse (scommesse) sui giocatori del giog da balun (il gioco del pallone elastico, gioco tipico della zona). Anche i “settimini”, chiamati così perchè nati di sette mesi, scendevano al mercato per curare i clienti, che ricevevano nel retro dei bar e dei ristoranti. E poi c’era “Cichin”, il banditore, che scandiva gli eventi della giornata in città. Si univano infine i “trifolau”, i ricercartori di tartufi, che indossavano l’abito di fustagno o di velluto conducendo il cane alla preziosa ricerca notturna e portavano i tartufi al mercato, nel grande fazzoletto a scacchi.
Il sabato era anche un giorno di grande lavoro e di fatica. Questo capitolo lo dedichiamo all’impegno del commendator Giuseppe Miroglio, fondatore dell’azienda tessile e di confezioni Miroglio, che ha trasformato Alba da città rurale a città industriale. Oggi, grazie a lui e ai suoi figli Carlo e Franco, il paesaggio di Alba è modificato: gli shed industriali si stagliano sullo sfondo delle torri medioevali e il tutto è incorniciato dalle verdi colline.
La nostra scuola porta avanti ormai da anni l’esperienza dei bachi da seta: i bambini se ne prendono cura dallo schiudersi delle uova alla salita al bosco per l’imbozzolamento; hanno imparato come si ricava il filo di seta dai bozzoli e hanno anche apprezzato con stupore l’uscita delle farfalle e la meraviglia della natura a essa collegata.
Una volta ottenuto il filo, sperimentano la sua tessitura, con l’aiuto di piccoli telai artigianali.
Per questo lavoro i bambini sono partiti dai fili dei bozzoli dei bachi da seta e li hanno appoggiati su un ponte di shed industriali, costruito con un foglio di plastica e rivestito col tessuto.
Hanno poi fatto passare i fili attraverso gli shed industriali della fabbrica Miroglio, per tesserli nella trama e nell’ordito del telaio, costruito con bastoncini di legno.
I tessuti così creati, sono stati appoggiati sul banco, pronti per essere venduti al mercato del sabato. Il banco dove, ai tempi di Giuseppe Miroglio, le ragazze, che scendevano dalle colline, acquistavano le stoffe per il corredo del matrimonio.
Il risultato è una sorta di pagina pop-up, dove le torri medievali di Alba e gli shed industriali, sono tenuti dai fili che partono dal bozzolo e arrivano al telaio.
Finalmente arriva la dùminica (domenica), il giorno di festa, in cui le donne cucinavano per tutta la famiglia. E allora chiudiamo il nostro viaggio con una mangiata “langarola”, che impegna l’intera giornata.
È una ricca colazione quella consumata dai contadini dopo una dura settimana di lavoro nei campi. Si svolge all’aria aperta, nei cortili e nelle aie delle cascine o nei campi, all’ombra di una “topia”, un pergolato spesso ricoperto di vite o di gelso, nei mesi primaverili ed estivi, quando le giornate si allungano. È un momento conviviale, di festa, che i contadini piemontesi condividono con i pescatori liguri, che percorrendo la via
del sale, raggiungono il Piemonte per scambiare le acciughe in cambio di qualche toma, di un buon salame e una bottiglia di vino.
E così, seduti a tavola, con una tovaglia quadretti e del buon vino, si inizia la colazione, consumando vivande di schietta tradizione territoriale, molte delle quali a base di acciughe. La “bagna càuda”, il “bagnèt verd”, una delle salse tipiche che accompagnano il sontuoso bollito piemontese, la polenta “fricasà”, insaporita con le ‘n ciue (acciughe). Si racconta che in tempi di povertà, i contadini legassero l’acciuga a un filo, che poi veniva abbassato, lasciando cadere l’acciuga sulla polenta affinché la insaporisse; dopodiché si rialzava il filo e si passava al commensale accanto, affinché anch’egli potesse godere di quel gusto salato che arrivava dal mare.
E per finire il tipico “bunet”, il famoso budino a base di nocciole di varietà tonda e gentile delle Langhe e amaretti sbriciolati.
I bambini hanno ascoltato dalle insegnanti il racconto degli antichi percorsi utilizzati un tempo dai mercanti del sale per portare le merci verso il mare e recuperare lì il sale, allora prezioso per la conservazione degli alimenti e anche per le attività artigianali come la concia delle pelli e la tintura. Hanno dipinto i contadini piemontesi e i pescatori liguri, seduti a tavola. Sul tavolo, costruito in forma tridimensionale, hanno appoggiato il tessuto della tipica tovaglia langarola.
I commensali sono vestiti a festa: i loro abiti sono stati realizzati con i tessuti acquistati al mercato del sabato, così come la tovaglia.
Bambini, maestre e nonni: tutti insieme al lavoro.