ovvero Oiche Shamhna. La notte di Samhain.
[di Gian-Luca Baldi]
Quando si varca il confine dei mondi fiabeschi, è impossibile prevedere dove condurranno le strade scelte. Dopo la poeticità pura e delicata, per quanto drammatica e sofferta, di Andersen e del suo Il brutto anatroccolo, non avrei mai potuto prevedere che, spostando appena la direzione del mio viaggio verso nord-ovest e puntando verso l’Irlanda, i cieli si sarebbero fatti così scuri, e i boschi e il paesaggio così inquietanti e minacciosi.
Sull’onda dell’entusiasmo per la rappresentazione de Il brutto anatroccolo al Piccolo Regio di Torino nel 2006, contratta la malattia inguaribile del teatro, decisi di dedicare la fiaba musicale seguente all’Irlanda, e mi misi subito al lavoro, leggendo la raccolta di Yeats Fiabe irlandesi.
L’immaginario irlandese mi colpì molto, e non solo per la bellezza. Se è innegabile che di fiabe cruente e terrificanti ve ne sono tantissime, e anche nella tradizione italiana non mancano di certo, quelle irlandesi tuttavia hanno qualcosa di diverso. L’oscurità le permea fin nelle radici più profonde.
L’immaginario dark di queste fiabe andò a risvegliare qualcosa nel profondo in me, fornendomi l’accesso a mondi per me fino a allora sconosciuti. Dopo aver terminato la mia fiaba irlandese, infatti, quel seme avrebbe continuato a crescere e a svilupparsi, come un vero e proprio fagiolo magico, e mi avrebbe condotto fino alla scrittura dapprima, nel 2009 di un romanzo inquietante e quasi horror, non certo per bambini: Novantanovemila notti senza un giorno; e poi di un’altra fiaba in musica: Gretel e Hans e il mondo dei robot, più scura e torbida delle precedenti.
Per tornare all’Irlanda, a determinare la scelta finale della storia fu l’incontro con la cantante e compositrice Kay McCarthy. Kay è irlandese fino al midollo, ma vive da oltre trent’anni in Italia.
La sua idea fu da subito di lasciar perdere le fiabe tradizionali e di inventare qualcosa di nuovo. Voleva fare qualcosa sulla natura, oppure – indignata per la mercificazione e lo svilimento che questa festività subisce ormai da diversi anni – sul vero significato della notte del 31 ottobre, che gli americani ci hanno insegnato a chiamare ‘Hallowe’en’.
Fu molto interessante per me entrare nello spirito di questa festività celtica, la più importante dell’anno e che, proprio in quanto celtica, appartiene in realtà profondamente a tutta l’Europa. Ed è un vero peccato che si sia trasformata in una sorta di precarnevale, dalle tinte più fosche e inquietanti, senza conservare la memoria delle ragioni della dimensione notturna.
C’è un forte rapporto con la natura in questa festività, con il mistero dell’esistenza, con la memoria e il ricordo dei cari che non ci sono più, e per i quali vengono addirittura preparati dei posti a tavola (come si usa ancora in alcune regioni del sud Italia), che la rende davvero unica, e che abbiamo cercato di trasmettere con Oiche Shamhna (che si pronuncia I-ha Hauneh, che significa appunto Hallowe’en). In teatro funzionò molto bene (Torino, 2008), tanto che la compagnia Micron scelse poi di ripeterla nel 2011, per celebrare i trent’anni della sua attività.
Credo che l’impresa più difficile sia stata quella di calibrare i contenuti più forti, e renderli accettabili a un pubblico di qualsiasi età, anche ai più piccoli. Prima di tutto ho inserito per la prima volta un elemento buffo, utilissimo a bilanciare i momenti più drammatici, cioè la figura di un piccolo folletto, un clobhair-cheann (si pronuncia klauerchen), affiancato ai due protagonisti principali della storia: Fionn, un giovane di dodici anni, che si attarda nel bosco proprio la notte del 31 ottobre, e la madre che lo aspetta impaziente e che poi finisce con l’andare a cercarlo. La mescolanza di comicità e dramma è la splendida lezione, per me che sono musicista, del teatro musicale settecentesco, ed in particolare di Mozart. Ma l’ho trovata anche in Chaplin, e teatralmente è molto efficace. La presenza di questo piccolo folletto serve, ad esempio, a stemperare il momento in cui la madre viene avvelenata dal Puck, il demone che fa addormentare la natura, e sembra cadere priva di vita a terra (mentre poi sarà salvata proprio dal figlio).
Paradossalmente, forse perché gli spettatori più piccoli vengono comunque preparati dall’atmosfera di Hallowe’en, non ho mai riscontrato problemi con questo lavoro (visto da diverse centinaia di spettatori grandi e piccoli), mentre - incredibile a dirsi – ho assistito a un piccolo incidente proprio con Il brutto anatroccolo. Nel corso di una matinée per alcune scuole dell’infanzia ed elementari, una bambina di quattro anni scoppiò a piangere, quando, nel corso di un duetto molto commovente, l’anatroccolo diceva addio alla contadinella che l’aveva salvato (nella versione operistica, che presenta alcune differenze dall’originale). In quell’occasione mi sentii sciogliere dalla tenerezza e dai sensi di colpa…
Fino a che punto spingersi in storie del genere, e quanto narrare in teatro, da una parte, e in un libro, dall’altra, è questione molto delicata e complessa. È vero che nel teatro tutto appare reale e ha più forza che nella pagina scritta o in un cd. Ma a uno spettacolo si assiste in compagnia, o con i propri genitori o con tutta una classe. E questo cambia sicuramente le cose.
In ogni caso credo che in Oiche Shamhna la narrazione sia sempre garbata, e le tensioni introdotte ben bilanciate dalla musica e dalle voci degli attori.
Anche in questa edizione ho inserito alcuni contenuti extra, più ricchi di quelli curati per Il brutto anatroccolo: le sezioni Per leggere e scoprire: Glossario – I Celti – Il tempo e le stagioni dei Celti - Pronuncia delle parole gaeliche).
La musica prende spunto da due bellissime ballate popolari della tradizione irlandese, per poi essere totalmente ricomposta e originale, pur senza allontanarsi da quelle atmosfere e da quel mondo sonoro. La voce narrante, a parte un mio breve intervento introduttivo, è quella di un giovane e promettente attore, Yuri D’Agostino, e di mio fratello Gian Guido Baldi (per una decina d’anni, star della soap Un posto al sole, nei panni di Alessandro Palladini, uno dei protagonisti), e la cui voce calda e profonda ben si mescola con la mia e quella di Yuri.
Oiche Shamhna. La notte di Samhain ovvero la vera storia di Hallowe’en, una fiaba in musica di Gian-Luca Baldi e Kay McCarthy, illustrazioni di Cristiana Cerretti, voci narranti, Gian-Luca Baldi, Gian Guido Baldi, Yuri D’Agostino, Anicia editore, Roma 2010.
Vorrei concludere con alcune considerazioni e alcune proposte sulle fiabe in musica come progetti editoriali.
Con Sergej e la luna Regina, Il brutto anatroccolo e Oiche Shamhna, ovvero la vera storia di Hallowe’en, mi sono dedicato a tre diversi tipi di fiaba in musica. La prima, è una storia con alcune canzoni, la seconda un melologo (cioè la storia narrata da un attore e accompagnata dalla musica), la terza un vero e proprio lavoro di teatro musicale.
Può sembrare scontato, anzi una vera e propria banalità, ma col senno di poi mi sento di dire che quando si lavora a un progetto editoriale per realizzare una fiaba in musica, bisognerebbe tener conto che si tratta di una diversa forma di proposta, che non potrà mai semplicemente render conto di una delle tre a cui abbiamo accennato, ma ne rappresenterà una quarta, con delle caratteristiche e delle necessità sue proprie. Ecco, questo non mi era affatto chiaro quindici anni fa.
Come nel caso del melologo, il rapporto tra suono e parola, e qui tra musica e carta stampata, è estremamente delicato e più complesso di quanto si stimi a volte, e richiede una comprensione e una attenzione particolari alla sua specificità.
Il cd poi costituisce il grande problema dei progetti editoriali che coinvolgono la musica, e che ne limitano pesantemente la riuscita.
Allegare un cd adun libro, comprende le spese che si sostengono per produrre la musica (sala di registrazione, musicisti, stampa e copie del cd), e richiede il famigerato bollino Siae. Un costo non indifferente: un argomento oggi di grande attualità, che andrebbe affrontato con coraggio in un’altra sede.
Dopo quattro fiabe in musica edite (la quarta, pubblicata dall’editore Gelso Rosso di Bari, Pacobiclip e altre storie, è stata curata dall’autore dei testi, lo scrittore giornalista Enzo Quarto), posso dire che l’equilibrio tra i costi di una produzione musicale e l’interesse e la disponibilità del pubblico per progetti simili, purtroppo non sono equilibrati, il che rende la produzione di fiabe musicali un’operazione ad alto rischio, anche se i prodotti di qualità hanno poi un giusto riconoscimento e vengono bene accolti da riviste specializzate e biblioteche, come è accaduto per Il brutto anatroccolo e Oiche Shamhna.
Una soluzione possibile, già praticata, potrebbe essere quella di scaricare i contenuti musicali dalla rete, attraverso codici contenuti nel libro acquistato.
Ma oggi andrei oltre, e come editore proporrei dei contenuti anche solo per la rete, con dei piccoli clip da caricare su You Tube o su altre piattaforme, per cominciare a far conoscere, ad esempio, certi personaggi e certi mondi sonori. Una specie di progetto pilota, o ‘rompi ghiaccio’, insomma. Magari con la collaborazione di qualche conservatorio, e soprattutto di giovani musicisti. Se si vuole superare la canzoncina e proporre prodotti musicali più maturi e complessi, ci vuole del tempo. E la diffusione on line può essere un ottimo modo per preparare il terreno.