Di Pandemonium Teatro abbiamo già parlato su questo blog, qui: dislocato a Bergamo, si tratta di una delle realtà italiane più consolidate nell’ambito del teatro rivolto ai ragazzi. Una delle produzioni più interessanti di questa compagnia è quella delle Stanze emotive, nate negli anni Ottanta. Le ultime due produzioni di questo progetto hanno come sottotitolo Viaggio di un bambino curioso (ideazione e regia Albino Bignamini; Enzo Catini, allestitore e coautore): la prima, C'è una porta nell'armadio, del 2016, ha trovato casa nell’ex Asilo Principe di Napoli; la seconda, Hotel Tempo, è stata ospitata nei locali dell’ex Hotel Commercio. È allo studio una terza edizione, per cui si stanno cercando finanziamenti. Entrambe propongono percorsi teatrali e narrativi in cui palco e platea sono annullati, e il bambino da spettatore si trasforma in agente attivo, ed è singolarmente chiamato a far parte dello spazio della rappresentazione, interagendo con oggetti e personaggi, dando luogo a un’esperienza emotiva e conoscitiva che ricalca quella della fiaba e dei percorsi iniziatici. In C'è una porta nell'armadio compito del bambino è stato svegliare la fata che dorme sotto l’incantesimo di un mago; in Hotel Tempo, invece, risvegliare Proserpina e il tempo, facendo ripartire le stagioni. In questo post vi proponiamo uno scritto di Albino Bignamini che riassume il senso e lo sviluppo di questa esperienza, e una riflessione di Elena Gatti sul valore del fare esperienze culturali alte e importanti rivolte ai bambini.
[di Albino Bignamini]
Da bambino quando arrivava l’estate lontano dai doveri scolastici, iniziava il tempo delle esplorazioni. Ero affascinato dai luoghi abbandonati della città, si trovavano ovunque nascosti ed incastonati tra case abitate, negozi, parchi pubblici. Entrare di nascosto in quegli spazi proibiti era una avventura impagabile. Esploravo edifici abbandonati, fabbricati dismessi camminando tra muri scrostati, pavimenti ricchi di antichi passi, oggetti dimenticati tra memorie di persone che li avevano abitati. Mi avventuravo in un altro mondo, in un altro tempo, in un altro spazio, affrontavo un viaggio ai confini della realtà attraversando lo specchio di Alice e andando oltre lo scorrere lineare del tempo. Mi inoltravo nella grotta di un gigante, nelle viscere della terra, nel castello della Bella Addormentata; percorrevo gli spazi di un mondo parallelo dove colori, odori, oggetti, brecce nei muri alimentavano la mia fantasia.
In quegli accaldati pomeriggi estivi passavo da una rete rotta, scavalcavo un cancello, entravo in una casa con il timore di essere scoperto e il desiderio di trovare un tesoro nascosto; bastava una cartolina lasciata sul un pavimento, un foglio di giornale, una scarpa, un chiodo arrugginito, un bastone spezzato e la mia immaginazione volava: la scarpa era appartenuta ad un uomo magro con le dita delle mani lunghissime, che fumava sigari ed indossava una camicia sporca e marrone con tasche fonde dove nascondeva forbici affilate. Quel vagabondare ramingo e solitario era un’esperienza totalizzante in cui il tempo scorreva con un altro ritmo e dove tutti i sensi erano coinvolti. Quelle mie visite facevano diventare quei luoghi la mappatura di un mondo da me solo conosciuto, era il mio palazzo privato dove nessuno poteva entrare. Trascorrevo così i lunghi pomeriggi estivi creando storie e quando la luce del giorno stava per andar via, prima che arrivasse il tramonto, riemergevo rientrando nello scorrere lineare del tempo della città. Era come ritornare da un mondo parallelo che aveva nutrito il mio bisogno di avventura, custode di un segreto che nessun altro poteva conoscere. Credo che da quella esperienza cosi emotivamente profonda siano nate le Stanze Emotive: dalla avventura di un bambino che intraprende un viaggio tra le mura di vecchi luoghi abbandonati.
Le Stanze Emotive nascono negli anni Ottanta quando ci siamo immaginati la narrazione di una storia attraverso un viaggio ambientato e sviluppato in uno spazio non teatrale: uno spazio cittadino dormiente, da risvegliare, uno spazio con una memoria nascosta in stanze abbandonate, tra mura scrostate dove il tempo ha lasciato le sue tracce silenziose. Lo sviluppo drammaturgico della storia doveva privilegiare una relazione intima tra chi entrava nel percorso come visitatore e chi agiva nel percorso come attore. In realtà il visitatore era l’attore mancante affinché il viaggio potesse realizzarsi.
La prima fase delle stanze era agita dai bambini-attori attraverso l’incontro con un adulto che in solitaria intraprendeva un viaggio performativo, in una storia che si dipanava in ambienti diversi preparati per incontro, per la relazione. La prima storia che abbiamo portato nelle stanze abbandonate di un convento è stata In una notte di temporale di Yuichi Kimura: una capra e un lupo si rifugiano in una capanna in una notte di temporale e non riconoscendosi al buio trascorrono il tempo dell’attesa della fine del temporale confortandosi a vicenda. Un bambino guida accoglieva alla soglia del convento un adulto chiedendogli fiducia: «se ti fidi di me ti accompagnerò in una storia dove tu sarai il protagonista e ti mostrerò e vivrai il mio mondo di persona che tu chiami bambino». Alla risposta affermativa l’adulto veniva bendato e il viaggio aveva inizio, un viaggio che coinvolgeva tutti i sensi, olfatto, vista, udito, tatto, gusto, attraverso un’esperienza emotiva che toccava in profondità. Le esperienze, estetiche ed etiche, racchiuse nel tempo circolare della narrazione si incontravano in una sospensione del tempo lineare.
Nel corso degli anni abbiamo allestito diverse Stanze Emotive dove l’universo adulto si trovava immerso in una storia condotta e immaginata dall’infanzia; poi è nata l’esigenza di trovare stanze e storie con ruoli ribaltati mantenendo in questa nuova costruzione le caratteristiche che ci avevano guidato nella prima fase: un percorso per un viaggiatore in solitaria, un luogo da risvegliare, una storia da raccontare, il coinvolgimento dei cinque sensi. Un bambino-persona affronta un viaggio che lo porta dalla soglia di ingresso fino all’uscita attraverso una esperienza costruita nello sviluppo performativo stanza dopo stanza. Il bambino-persona è al centro del percorso creativo: «il mondo che abbiamo creato non può esistere senza di lui, senza di lui non ci può essere futuro, il futuro è fatto di relazioni, di incontri, di estetica, di etica, di stanze che anima con la sua presenza».
Le Stanze Emotive sono un’esperienza, una relazione interattiva tra scena, spazio, testo e visione. La struttura drammaturgica fa riferimento a quella della fiaba dove l’eroe protagonista parte per un’avventura che lo porterà attraverso il superamento di prove e con l’aiuto di aiutanti al raggiungimento della meta. Questa struttura nel nostro narrare si sposa con il racconto mitico dando vita al viaggio iniziatico dell’eroe. Le Stanze sono diventate in questo lungo cammino una occasione per sperimentare la relazione in uno spazio non virtuale, risvegliato da una storia da vivere con immersione totale in un tempo circolare.
Le immagini fin qui riportate si riferiscono a C'è una porta nell'armadio, 2016, ex Asilo Principe di Napoli.
[di Elena Gatti]
Ho lavorato al progetto delle Stanze Emotive in piena fiducia del prodotto artistico che sapevo Albino Bignamini ed Enzo Catini stavano realizzando, una fiducia dettata dalla consapevolezza delle loro qualità e capacità artistiche. Avevo un obiettivo: regalare qualcosa di bello alla città e a quelli che reputo i suoi cittadini più interessanti, i bambini. Il mio impegno è consistito nel cercare relazioni con il territorio perché le Stanze Emotive avessero a disposizione un luogo e incontrassero il pubblico, il loro destinatario.
Non è stato semplice: le Stanze sono affascinanti ma richiedono tempo, fatica, impegno. Non sempre si capisce e si conosce il lavoro minuzioso che sta dietro a un progetto artistico e il suo costo. Sì, perché le Stanze Emotive costano, e molto.
Poi, diciamocelo, perché mai spendere risorse per i bambini? Sono dei destinatari che si possono accontentare facilmente, no? Quindi perché sprecare dei capitali per loro? Chi ha costruito questo progetto non la pensa così: noi crediamo che il rapporto con il bello vada costruito dalla più tenera età, che i bambini necessitino di prodotti di alto livello e quindi vadano fatti seri investimenti sulle attività a loro destinate, perché devono vivere un'infanzia serena, con esperienze costruttive per dare spazio alla loro creatività, alla loro innata curiosità, alla loro voglia di crescere.
A noi piace stare dalla parte dei bambini e immergerci in un mondo dove l’immaginazione la fa da padrone e l’arte trova mille rivoli con cui parlare ed esprimersi. Nel corso dell’esperienza abbiamo incontrato adulti che non avendo abbandonato il rapporto con la loro infanzia, uscivano dalle Stanze appagati, proprio come bambini. Perché dei bambini avevano mantenuto la curiosità, il lasciarsi andare, la voglia di farsi affascinare. Da cosa sono stata ripagata? Dagli sguardi di chi usciva dopo aver fatto il percorso. Andate a guardare i video che mostrano quegli occhi. Entravano spaventati perché a 7-9 anni non è facile dire «vado, e da solo, a fare un'esperienza»; ma andavano lo stesso, e quando uscivano avevano dentro una emozione così importante e forte che solo gli occhi riuscivano a raccontarla. Alcuni non parlavano, avevano vissuto qualcosa di importante e volevano tenerselo per sé, altri erano fiumi ininterrotti di parole, ma tutti proprio tutti correvano ad abbracciare il genitore o l’adulto che fuori li aspettava perché avevano bisogno di contenere l’emozione affinché non andasse dispersa.
A molti adulti e genitori è rimasta la curiosità di sapere cosa le Stanze contenessero e non lo sapranno mai se non dai racconti dei loro figli: finalmente il ribaltamento. «Io, il piccolo, ho fatto qualcosa che tu grande non hai vissuto e posso solo io questa volta raccontarlo a te»: una bella prova di autostima con cui i grandi si sono confrontati.
Tutto questo sono state le Stanze: un bel mix di arte, cultura, responsabilità, crescita e fiducia.
Le immagini fin qui riportate si riferiscono a Hotel Tempo, 2017, ex Hotel Commercio.