Manolito, il seduttore

Ho conosciuto ManolitoQuattrocchi alcuni anni fa, un'estate, grazie aMilena Minelli, della libreria Il castello di carta,a Vignola, che appena mi ha visto sfogliarlo, ha cominciato a parlarmenecon un tale entusiasmo da non lasciarmi scelta. 
L'ho comprato e mi sono subito messa leggerlo. È finitache  i miei compagni di vacanze, vedendomi ridere allelacrime mentre lo leggevo, mi chiedevano continuamente di leggernebrani ad alta voce. 
Così,quando ho saputo che Luisa Mattia l'aveva appena ritradotto perLapis, leho chiesto di scrivere per noi un post su questa esperienza. Elei, che è buonissima, e che per noi ha già scritto tantecose, ha detto di sì.

[di Luisa Mattia]

Ho incontrato Manolito molti anni fa, in Spagna. Inquella Spagna liberata dal franchismo, allegra e scombinata,creativa e irriverente, capace di risveglio, arguta e viva. UnaSpagna  che, pure,  non dimenticava tenerezza eun tanto di malinconia, che non guasta mai e stempera le cose, le favere e da misura all’entusiasmo.
Manolito era ed è unseduttore. Somiglia alla sua Madrid, si fa portavoce – diretto, ingenuoe sarcastico – di una vita semplice, metropolitana e popolare. Le suaavventure sanno di strada, di complicità, di durezza e di affetto.

Manolito secondo EmilioUberuaga.


Manolito era ed è un bambino che molto ha imparato dallatradizione letteraria spagnola e dalla contemporaneità. In luiconvivono Sancho Panza, Lazarillo del Tormes e Pedro Almodovar,dandogli una visione del mondo che è ispanica e trasversale, unicae mondiale. Del mondo mondiale, come direbbe proprio Manolito. Comedirebbe ElviraLindo, brillante autrice della serie ManolitoGafotas. Scrittrice eclettica, ironica e capace di sornioneumorismo, Elvira ha immaginato e dato voce a un’infanzia senzaretorica; una bella infanzia popolare che chiama le cose con il loronome – una sberla è una sberla, un furto è un furto, un bacio èun bacio – senza rischiare di perdere in sincera spontaneità,in qualità del linguaggio.

Manolito è uno cheparla. E tanto. La sua è una lingua “lunga”, perché commenta,esalta, enfatizza, smorza, suggerisce, sottolinea, stempera, irridee, proprio perché “lunga”, da forza al racconto, gli sorride, loabbraccia. 
E così abbraccia il lettore.
Da sempre, guardocon gratitudine al lavoro dei traduttori, interpreti vivaci e rigorosi diuna lingua e di un mondo narrativo che ci restituiscono e ci consentonodi abitare.
Lo dico da lettrice e da narratrice. Prima diaccettare di tradurre il Manolito di Elvira Lindo ciho pensato a lungo, consapevole del mio status di entusiasta lettrice, diautrice di romanzi e racconti e di “non-traduttrice-professionale”. Ciho pensato perché si trattava di affrontare un “luogo narrativo” etrovare la lingua di Manolito senza tradirne il ritmo, la sostanza, laessenzialità e l’arguzia. Di fronte a una leggerezza così profonda,trovarsi a tradurre è una impresa attraente e impegnativa. Mi ci sonomessa con decisione e attenzione. E Manolito ha fatto il resto. Lasua è una narrazione “di strada”, una lingua viva, travolgente,diretta. Che prende, che rallegra, che ti sorride e ti porta dovevuole lui, cioè alla sostanza viva del racconto.


Illustrazione di EmilioUberuaga.


Mentre lavoravo a Ecco Manolito, mi sono tenutain contatto con Elvira Lindo, chiedendole pareri e “permessi” pertrasportare la lingua di Manolito in un italiano che lo rispecchiassee lo rispettasse; che lo facesse “vicino”, come lo è incastigliano. Che lo restituisse integro e vero. E contemporaneo,come è.
Ecco, questo è stato il mio obiettivo: darglila voce che gli appartiene. Che è quella che parla al “mondomondiale”. Non c’è dubbio.

E perfarvi capire di che stiamo parlando, ora vi proponiamo un brano trattoda Manolito.

Ho tolto i cappucciai superpennarelli e ho cominciato a salire le scale strisciando lepunte sulla parete. “Che figata”, ho pensato. Facevo tre linee:una rossa, una azzurra e una nera. E cercavo pure di farle dritte,così parevano proprio una ringhiera. Mica per niente,  maero proprio partito con questa cosa dei pennarelli. E facendo le miebelle righe, mi sono ritrovato al terzo piano. Perché al terzo? Maperché ci abito io! 

Mamma ha apertola porta e m’ha guardato le mani, che è una cosa che fa ogni voltache torno a casa. Mamma mi guarda le mani e sa immediatamente dove sonostato, a che ora e, certe volte, capisce pure insieme a chi. 

L’ho già detto, secondo me mia madre nonlavora per la CIA solo perché gli americani non le hanno dato questapossibilità, eppure è una spia di prima classe.
Comunque,dicevo che mi guardava le mani e ha visto che ce le avevo tuttemacchiate di pennarello. E poi è diventata bianca come una mortaappena ha visto la mia fantastica ringhiera disegnata sul muro.

Illustrazione di Emilio Uberuaga per la serieManolito.


Ha cominciato a scendere le scale seguendo le tracce e mi sa che èarrivata fino al portone. L’Imbecille le andava dietro e passava ildito su tutte le linee colorate. Poi l’ho sentita che risaliva lentalenta. Quando mamma fa qualcosa lentamente vuol dire che manca poco alloscoppio della Terza Guerra Mondiale; così, quando è arrivata al secondopiano, ho cominciato a piangere, che magari mi salvavo dalla sicuracondanna a morte. Piangevo piano perché mi dicevo che mi convenivatenermi da conto le lacrime per le cinque ore successive.
E ho pensato bene. Quando mamma è arrivata al terzo pianom’ha rifilato una bella scoppola. …

Mamma hadetto:
-    Questo ragazzinomi vuole morta. Ha disegnato con i pennarelli lungo tutta la scala es’è pure macchiato. In più, non posso negare che è stato lui,perché le righe che ha fatto questo disgraziato arrivano giustogiusto fino alla nostra porta. Così, dovremo far ridipingere tuttoa spese nostre e resteremo senza soldi…
….
-    Manca poco e cominceranno a suonarcii vicini e a dire: “ Al tuo Manolito dovresti legargli le mani” e“Adesso chi paga?”. E poi stasera arriva tuo padre e dice: “Lacolpa è tua che gli hai regalato i pennarelli” e “Adesso me lo dicitu come facciamo a pagare questi danni”.

Aquel punto, nonno s’è alzato dalla sedia e sembrava uno che stavaalla Camera dei Deputati e ha alzato pure la mano come se volesse direqualcosa di importante:
- Non c’è da preoccuparsi…Vadoal bagno.
Non è che ci preoccupavamo se andava al bagno, è che certe volte gli scappa all’improvviso, per colpa dellamaledetta prostata e allora deve interrompere le migliori frasi dellasua vita. E’ tornato subito:
-   Non vi preoccupate. Sistema tutto nonno Nicola.
L’Imbecilles’è messo a battere le mani. E’ che gli sembra tutto semplicenella vita; succedeva pure a me, quando ero piccolo.
-    Catalina – ha continuato adire nonno, sempre come uno che parlava alla Camera dei Deputati– non una parola di più.
E mentre mamma se ne stava aripulire la cucina, nonno m’ha chiesto, con un’aria misteriosa, ipennarelli. Li ho presi dalla cartella e glieli ho dati. M’ha fattol’occhietto e poi è uscito di casa, senza dire una parola.

Illustrazione di Emilio Uberuaga per la serieManolito.


Io sono rimasto seduto sul divano, però la curiosità mi mangiavavivo e mi pareva che non potevo resistere un minuto di più sul globoterracqueo. Così, ho infilato la porta di casa, quatto quatto comeaveva fatto nonno. E quando ho visto quello che ho visto, non ci potevocredere.
Nonno stava colorando con i pennarelli altretre linee , dal terzo al quarto piano. Gli sono andato vicino pianopiano e ho detto sottovoce:
-   Nonno.
-    E che! Manolito,m’hai messo paura – ha detto.
Parlavamo sussurrando,come quando stiamo a letto.
-   Che fai, nonno?
-    Faccio lelinee fino al quarto piano, così nessuno ti può dare la colpa. Magarila danno a quelli del quarto. E casomai se la prendono con te, tunega tutto. E adesso, vattene a casa.

(Da ManolitoQuattrocchi, Capitolo 8, Perché l’hofatto?, trad. Luisa Mattia).



Dopo, il primo volume dellaserie, Ecco Manolito, uscito in marzo,
in autunno sono previsti il secondo e il terzo: 
Bentornato Manolito e Che forte,Manolito!.