Grazie all'amicizia che ci lega a Costanza, abbiamo conosciuto e seguito, fin dai suoi esordi, la vicenda di questa meraviglioso luogo, la Biblioteca Alessandro Cieri. E abbiamo avuto l'onore di essere stati, alla fine della sua realizzazione, invitati all'inaugurazione. Ci sono progetti che nascono da situazioni difficili e dolorose, ma hanno, per questo, una luminosità speciale. Uno fra loro è sicuramente questo. Grazie a Costanza per avere accolto il nostro invito a raccontarlo.
[di Costanza Buttinelli*]
La rinascita della biblioteca di cui sono la responsabile, sita nella scuola primaria Randaccio, in cui lavoro da undici anni nell’educazione dei bambini della scuola alla lettura di buoni libri, è legata ad una vicenda drammatica che ha colpito una famiglia del quartiere di Casalbertone in cui la scuola è attiva.
Un bambino che frequentava la prima elementare si è gravemente ammalato e dopo tre anni di interventi chirurgici e terapie di ogni tipo, non ce l’ha fatta e se ne è andato. Alessandro Cieri, era il suo nome.
Le sue insegnanti, Giuseppina Onorati e Francesca Tassone, sono state bravissime e molto presenti nel sostenerlo durante le lezioni nei brevi periodi in cui poteva frequentare la scuola e nell’insegnamento domiciliare, quando seguiva le terapie e doveva stare a casa. Era molto intelligente, brillante, simpatico, ironico e coraggiosissimo.
Anche i compagni di classe sono stati stupefacenti, erano legatissimi a lui, lo hanno protetto e accompagnato fino alla fine, e ne parlano continuamente, rimpiangendolo e ricordando gli innumerevoli episodi della vita scolastica di cui è stato protagonista. Era un bambino molto speciale, in verità. Molto generoso in tutto, nell’amicizia, negli affetti, nell’offrire sempre aiuto a tutti e nel non far mai pesare la sua condizione e le sue sofferenze.
Ad Alessandro, piaceva tanto venire in biblioteca ad ascoltare la lettura a voce alta, fatta a lui e alla sua classe da me.
Forse perché quei troppo brevi momenti rappresentavano una fuga dal suo male, di cui era fin troppo consapevole, ed un riparo nelle storie, di cui spesso non riusciva neppure a sentire la fine perché la mamma o la nonna venivano a prenderlo per portarlo dai medici.
La mamma e il papà di Alessandro, durante l'inaugurazione della biblioteca.
Era a conoscenza della gravità della sua malattia e ha affrontato con grande forza i vari interventi chirurgici e le terapie somministrate. Era allegro, anche durante la malattia, pieno di interessi e curiosità. Voleva fare il veterinario, diventare il miglior veterinario di New York, come disse a suo padre, durante un viaggio negli Stati Uniti in cui era già malato. Gli piaceva tanto viaggiare e i suoi genitori lo portavano ovunque.
La mamma mi ha mostrato il suo libro preferito: Alla ricerca del tesoro di Tutankhamon. Lo aveva trovato su una bancarella sotto casa ed era corso a dirle che doveva averlo. Amava tanto anche i libri di Capitan Mutanda, ne aveva diversi, li leggeva sbellicandosi dalle risate. Due giorni prima di morire ha voluto regalarne uno al suo migliore amico Giampaolino.
Ho un ricordo di lui molto nitido. Quando veniva in biblioteca con i suoi compagni, una volta la settimana, si precipitava sulla sedia alla mia destra per guardare meglio le illustrazioni del libro che leggevo a voce alta ed insisteva perché mi sbrigassi ad incominciare.
Se ne è andato ad agosto, non sapevo che la situazione medica stesse precipitando, quando la sua maestra Giuseppina mi ha telefonato mentre ero in vacanza, il mio primo pensiero è stato: avrei dovuto leggere di più per lui. E sono tornata a Roma per salutarlo.
L’idea di intitolargli la biblioteca scolastica mi è venuta durante il funerale, non so come: ero molto turbata e ne ho una memoria confusa, credo di averlo detto alla nonna paterna, Rita, che ha avuto un ruolo importate nell’ottenere le autorizzazioni necessarie.
La biblioteca gli è stata dedicata e adesso porta il suo nome.
Durante i lavori di realizzazione della biblioteca.
Quando i genitori di Alessandro sono venuti a dirmi che volevano donare del denaro per comprare libri per la biblioteca, sono rimasta spiazzata, la cifra era molto importante. Non ricevevo denaro dalle istituzioni per comprare libri da molti anni. Ero anche abbastanza scoraggiata. Da un anno cercavo uno sponsor che mi regalasse un video proiettore e uno schermo da mettere in biblioteca. Ho sempre cercato sponsor per ottenere quello che le istituzioni non danno alle biblioteche.
Anni prima avevo proposto al direttore del centro commerciale di quartiere di realizzare un calendario a tema con i disegni dei bambini della scuola: il tema era I luoghi della lettura. Ha accettato e in cambio dei disegni dei bambini mi ha regalato gli arredi nuovi, scaffali, scrivania e desktop. Ma a scuola la connessione c’è stata solo per un paio d’anni, perché non c’è il denaro per pagarla. I calendari sono stati distribuiti nel centro commerciale e tutti sono stati molto contenti. Mi hanno anche regalato dei libri, non quelli che avrei scelto io per una biblioteca, ma non li ho rifiutati, tanto poco avevo per lavorare.
Poi il papà di Alessandro, che ha un’impresa edile, come ho saputo in seguito, ha aggiunto che avrebbe voluto far ridipingere la stanza in cui c’era la biblioteca. Allora gli ho parlato del mio progetto del video proiettore, della mia idea di buttare giù una parete per disporre di uno spazio più grande. Ha accettato di aiutarmi. E Daniela, la mamma, ha detto che voleva la più bella biblioteca per bambini di Roma.
Durante i lavori di allestimento della biblioteca.
La settimana successiva Luca Cieri è tornato a scuola con la sua squadra di ingegneri e con un architetto. Non credevo ai miei occhi. Le mie emozioni erano vorticose, mi sentivo contenta e in colpa per esserlo. Volevo tanto poter disporre di tanti libri, belli, ben fatti, libri giusti per parlare di cose importanti con i bambini. E lavorare finalmente con contenuti adeguati e vari, non solo con quei pochi libri portati da me o acquistati con i residui delle collette per comprare la fotocopiatrice, sufficienti al massimo all’acquisto di tre volumi in un anno. O con quei libri che ogni tanto arrivano a scuola nei modi più vari, e che spesso sono fondi di magazzino, brutte edizioni.
Avere anche la biblioteca nuova oltre ai libri, mi sembrava tantissimo, quasi troppo, viste le circostanze. Per tutto il tempo della durata del cantiere questo conflitto intimo non mi ha lasciata. Sapevo che per i genitori di Alessandro costruire un luogo bello e felice in cui bambini più fortunati di lui potessero star bene, significava anche dare un luogo alla memoria del loro bambino, quello che non mi era facile accettare era che il mio progetto venisse realizzato nonostante avessi fatto così poco per lui.
Poi ho capito che io ero solo la mediatrice di un bisogno profondo dei suoi genitori, ho capito che potevo essere uno strumento facilitante di questo processo lungo, difficile e complicatissimo, e mi sono pacificata.
Luca, all’inaugurazione della biblioteca nuova, ha detto: «Ho fatto tutto questo perché mio figlio era un bambino generosissimo, sarebbe molto felice se vedesse questo posto.» Anch’io ne sono certa e spero tanto che la sorellina di Alessandro, che non frequenta la nostra scuola, ma una privata nel quartiere, venga portata dalla sua insegnante ad ascoltare le mie letture, in questo luogo così bello e poetico.
L'architetto Gianluca Fiorilli e due allestori sistemano il tappeto con gli alberi dell'Orto botanico di Roma.
Un altro alleato in questa realizzazione, più che alleato in verità, un artefice, è stato l’architetto, Gianluca Ficorilli. Gianluca ha realizzato un lavoro non solo gradevole, ma anche giocoso, originale, felice e poetico. All’inizio mi ha chiesto cosa volevo fare dello spazio a mia disposizione e io gli ho mostrato una raccolta di foto di belle biblioteche per bambini, indicandogli per ciascuna le soluzioni che mi piacevano di più. Ma ero così paralizzata dalle emozioni contrastanti che non osavo neppure immaginare richieste e indicazioni.
È stato in corso d’opera e dopo aver visto il progetto iniziale, che Gianluca ha poi modificato lavorando e svelandolo con parsimonia, rivelandolo un po’ per volta, che mi sono venute le idee. E allora ho chiesto dei pannelli mobili per poter ospitare mostre, alcuni grandi su ruote, altri piccoli. Ho richiesto gli scaffali ad altezza di bambino, aperti, con una bacchetta che mi permettesse di esporre la copertina dei libri in modo che non scivolassero. Ho suggerito una fotografia su materiale plastico, che Gianluca ha voluto su un tappeto e mostra gli alberi dell’Orto Botanico di Roma, fotografati da lui a febbraio.
È stata una collaborazione molto felice, la nostra. All’inizio della nostra conoscenza gli ho regalato una copia di Nel paese dei mostri selvaggi, per Matteo, il suo bambino. Gianluca mi ha poi detto che Matteo si porta sempre il libro in vacanza. Volevo mostrargli, con quel dono, che le storie sono come gli spazi che lui progetta, richiedono un’impaginazione, per essere straordinarie.
È bravissimo ed estremamente sensibile, attento ai dettagli come lo sono io, il suo lavoro è riuscito così bene perché ha guardato gli spazi con gli occhi dei bambini e li ha pensati avendo chiaro in mente il loro modo di occuparli, con la loro mobilità, con il desiderio di giocare ma anche di leggere da soli seduti in un angolo nascosto, o in due su una poltrona a dondolo, o per terra in posizioni improbabili.
Leggere in un tubo blu notte.
Ha realizzato perfino un tunnel rivestito di pelle blu notte che collega le due stanze e introduce a un altrove che non può non far pensare al pozzo di Alice, ma che è anche il passaggio verso la volta stellata, e i suoi abitanti, realizzata con una cupola di gesso illuminata da piccole luci led azzurre e bianche che riproducono le costellazioni nel cielo di marzo.
Prima che il lavoro finisse, ho portato i compagni di classe di Alessandro a vedere il cantiere di nascosto. Si sono seduti sotto la volta, appoggiati al divano circolare, hanno guardato le stelle e spontaneamente, tutti nello stesso momento, hanno chiuso gli occhi e non ho avuto bisogno di far domande per sapere a chi stessero pensando.
A questa parte del lavoro va aggiunta la scelta dei libri che ho compiuto personalmente. La mia selezione è stata molto attenta e capillare, ci ho lavorato tanto, consapevole del fatto che difficilmente potrò disporre in futuro di una cifra così cospicua per acquistare i libri.
Ho i mie editori preferiti, fra i quali Topipittori, Orecchio Acerbo, Donzelli, Babalibri, le bellissime edizioni della Emme, quindi Einaudi ragazzi e EL, ora non vorrei dimenticare qualcuno, è sempre difficile fare liste, ma aggiungerei in ordine casuale Corraini, Camelozampa, Lapis, Ippocampo, Salani, Tunuè, Minibombo, Baopublishing, Gallucci, Logos, Beisler, Castoro, Nord-Sud, Electa kids, Fatatrac, Kalandraka, Zoolibri, tra gli editori che si occupano di bisogni speciali Uovonero. Ho scelto libri che parlino a bambini ritenuti intelligenti, anzi intelligentissimi. Libri pieni di senso, che affrontino temi anche difficili. Libri con un retroterra culturale importante. Libri che richiedano all’adulto mediatore di essere approfonditi, conosciuti, guardati attentamente, pensati, per poterli usare al meglio. Ho privilegiato alcuni autori o illustratori, dei quali non ho preso un solo libro ma diversi. Ho voluto molti silent book. E una piccola sezione per bambini con bisogni speciali, per espressa richiesta di Daniela.
I libri sono orientativamente per bambini dai cinque agli undici anni, ho una piccolissima sezione per preadolescenti. Qualche libro di divulgazione, ma solo quelli che dedicano una grande cura all’aspetto editoriale.
In questi anni di lavoro a scuola mi sono resa conto che bisogna fare un gran lavoro per fare comprendere che i libri di qualità sono il primo requisito per educare alla lettura.
In Italia, non abbiamo una cultura del libro per l’infanzia sviluppata come in altri paesi, oltre ad avere percentuali bassissime di lettori e altissime di analfabeti funzionali, come ha spesso sottolineato, fra gli altri, Tullio De Mauro. Così, anche se in questi ultimi anni le cose stanno un po’ cambiando, non è immediato per tutti capire il significato di qualità rispetto a un libro. E mettere la qualità al centro dei criteri di scelta dei libri di una biblioteca, rischia di generare incomprensioni. Quando talvolta mi è capitato di leggere questa incomprensione nelle parole e negli sguardi di chi mi circonda, ho fatto presente che come ogni famiglia desidera il meglio per i propri figli, così chi si occupa, come me, di scegliere per i figli di tutti, adotta lo stesso criterio. La qualità non è una frivolezza, un capriccio, e tantomeno un lusso inutile, ma un requisito necessario alla crescita dei bambini.
Piano piano mi accorgo che i semi di queste scelte hanno cominciato a germogliare, anche se mi rendo conto che ci vogliono tempo e tenacia, perché la situazione della scuola e degli insegnanti non è facile, vessati da una politica che scarica sulle loro fragili spalle tutti gli oneri educativi, con una scarsità di investimenti che poi finisce per generare stanchezza, apatia, disincanto, indifferenza.
Conoscere la letteratura per ragazzi, invece, per gli insegnanti è fondamentale, perché i libri sono strumenti didattici formidabili, sia per i bambini sia, altrettanto, per chi sta vicino a loro e deve formare ed educare. Anche per questo, una biblioteca è così importante: perché aiuti gli insegnanti a pensarsi come produttori di pensiero e non solo costruttori di quelle abilità di base a cui le politiche ministeriali li hanno confinati; adulti responsabili della formazione di altri esseri umani nel momento più duttile e permeabile della loro vita e nel momento della massima potenza della loro intelligenza. Una responsabilità enorme e che deve essere tenuta in gran conto perché si è bambini una sola volta e per un tempo molto breve.
Per questo sarebbe così importante che tutti coloro che lavorano nella scuola e vivono la scuola, dirigenti, insegnanti, famiglie, collaborassero a renderla migliore, esercitando ognuno la propria creatività e libertà di pensiero nel rispetto di tutti, senza che gli aspetti formali richiesti dalla istituzione si prendano tutto lo spazio, fra didatticismo, prove Invalsi, skills, arricchimenti dell’offerta formativa: tutti nemici giurati di quel pensiero divergente così necessario per tutte le conquiste successive della vita, e invece spesso guardato con sospettosa diffidenza e, nel migliore dei casi, condiscendente degnazione.
Io sono stata abbastanza fortunata, perché quasi sempre ho incontrato dirigenti che mi hanno lasciata libera di lavorare come volevo, alcuni perché disinteressati al mio ruolo, altri perché davvero interessati; ho potuto seguire corsi, formarmi. È stato un grande privilegio avere questa libertà, grazie alla quale ho potuto crescere professionalmente e costruire una competenza di cui ora la scuola può usufruire. Ho sempre cercato di restituire alla comunità scolastica la libertà che mi è stata data nella forma di un lavoro accurato e competente. E credo, in tutta onestà, di averlo fatto.
A questo proposito, e per saldare un debito importante, vorrei raccontare qualcosa di me. Ho insegnato 25 anni, nella scuola primaria. Mio padre era un preside e mia madre una insegnante. Per loro l’insegnamento era la collocazione professionale migliore che potesse avere una donna, e sono cresciuta ascoltando le loro conversazioni sui collegi dei docenti, sui problemi con gli assessorati alla scuola; mia madre portava a casa i quaderni dei suoi alunni e io, ragazzina, aggiungevo un più con la penna rossa ai voti dei suoi alunni più simpatici, quelli che mi accompagnavano a casa quando lei aveva i turni pomeridiani.
Mio padre mi portava ai collegi dei docenti, quando avrei preferito andare a giocare a ping pong, nella tenuta dei Torlonia vicino casa, dai miei amici figli del fattore che disponevano nientedimeno che di un campo privato di tirassegno da me frequentato di nascosto, e di un fucile vero.
È stato normale presentarmi a un concorso a ventitré anni, vincerlo e trovarmi con un contratto a tempo indeterminato.
Una mazzata tra capo e collo: ero confusa, ma non tanto da non capire che razza di responsabilità mi fosse toccata e quanto io fossi inadeguata. Ancora ricordo il giorno prima di prendere servizio: mi recai nella libreria dell’editore Armando Armando, a Trastevere, e dissi al libraio, che conoscevo perché avevo preso da lui i libri per il concorso: «Domani devo cominciare a insegnare e sono morta di paura, mi aiuti.» Lui rideva, io no.
Ebbe inizio la ricerca di guide e maestri, i miei genitori non erano il modello che volevo, e ci fu il fortunato incontro con l’MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e il suo gruppo infanzia, frequentato allora da un giovane Franco Lorenzoni e Alessandra Ginzburg. Alessandra Ginzburg parlava di pedagogia dell’ascolto, fu un incontro decisivo e importantissimo per capire che tipo di insegnante volevo diventare.
Ho ancora un suo opuscolo pubblicato dal Comune di Roma intitolato Per una pedagogia dell’ascolto. Ogni tanto lo rileggo: è tutto sottolineato e per me è prezioso. È a lei che devo, in parte - non abbiamo mai un solo maestro -, quella che sono.
Insegnare bene è un lavoro molto difficile, richiede una formazione accurata, vasta. Competenze cognitive, psicologiche, consapevolezza di sé, capacità di pensiero divergente. Richiede al massimo grado di aver fatto i conti con la propria infanzia.
Dopo un lungo periodo di insegnamento, ho avuto dei gravi problemi di salute, e ho dovuto scegliere di non insegnare più. È stata una scelta dura e complicata, molto sofferta. In quell’occasione una dirigente scolastica con cui avevo lavorato e che mi conosceva bene, mi ha invitata a farmi carico della biblioteca abbandonata della scuola Randaccio.
Il locale della vecchia biblioteca.
Un’aula di 50 mq, dal perimetro rivestito di scaffali alti, neri, aperti, incongruamente rivestiti di cellophane come i salotti buoni dei bei tempi andati, stipati di libri polverosi, brutti, acquistati in 30 copie per ogni titolo, forse per consentire la lettura dello stesso libro a tutti i bambini di una classe, forse acquistati negli anni Sessanta. Mai puliti, mai neppure spolverati. E poi c’erano le enciclopedie, tante e brutte. Più che lasciate, direi abbandonate, portate da insegnanti e genitori per svuotare gli scaffali di casa Un indiscreto quadernetto rivelava che non venivano prestati più di cinque libri per anno.
All’inizio è stata dura. Mi sono messa a pulire. Non sapevo cosa dovessi fare, non sapevo dove imparare come deve lavorare una bibliotecaria scolastica. Non c’era denaro per comprare libri. Nessuno che mi desse indicazioni.
Una delle fortune della mia infanzia è stata quella di disporre di una biblioteca familiare di tutto rispetto. I miei genitori sapevano quanto fosse importante che noi, io e i miei due fratelli, disponessimo di libri adeguati.
Non leggevano per noi, i miei genitori, forse talmente impegnati con i figli degli altri da destinare ai propri attenzioni centellinate. Ma i libri erano a nostra disposizione: bei libri, belle edizioni illustrate, i nostri e quelli di mio padre.
La lettura, fin da bambina e poi anche da adulta, ha sempre rappresentato la mia maggiore risorsa nella solitudine. E da insegnante ho sempre curato in modo particolare l’educazione alla lettura anche perché ho sempre avuto una predilezione per l’editoria di qualità, un amore di cui ricordo esattamente l’esordio.
Ero andata a vedere una mostra su Maurice Sendak, curata da Paola Vassalli, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna. Quella mostra, diventata poi famosa, fu folgorante. Iniziai a frequentare la Fiera di Bologna e imparai a riconoscere i migliori editori italiani e ad acquistare i loro libri che mi piacevano.
E da lì ho ricominciato. Ho pensato che potevo testimoniare la mia passione e contagiare quanti più bambini possibile. Ho portato a scuola i pochi libri sopravvissuti a un trasloco in una casa più piccola, la parte più cospicua della mia piccola collezione l’avevo donata all’archivio MCE, poi rimpiangendola per anni. E ho cominciato a invitare le classi nei locali della biblioteca scolastica per la lettura a voce alta. I colleghi erano gentili, mi portavano le classi, qualcuno di loro si spaventava se leggevo Barbablù, ma i più no e tornavano. I bambini erano contenti, molto.
Ho lavorato tanto e imparato molto in questi anni. Se la donazione di Luca e Daniela fosse arrivata cinque anni fa, non sarei stata in grado di gestirla al meglio. Infine, dopo questo gran lavoro collettivo, la ristrutturazione è terminata e la nostra scuola ora ha la più bella biblioteca per bambini della città, come Daniela voleva: la Biblioteca Alessandro Cieri.
I bambini della scuola sono entusiasti, non vedono l’ora di potersi togliere le scarpe e sedersi sotto la cupola, attraversare il tunnel, saltare sulla pedana. Una bambina, durante gli ultimi giorni di scuola, ha puntato un libro, mi ha chiesto di prenderlo ed è tornata tre giorni di seguito per leggerlo per bene. È un libro sul mare, illustrato con disegni.
Lo spazio è progettato e costruito con grande attenzione ai minimi dettagli, ai materiali e agli arredi, tutti disegnati su misura. L’illuminazione è curatissima, abbiamo perfino una scultura donata dall’artista Felice Limosani, un rebus di tubi al neon, un’installazione contemporanea. Abbiamo un lungo corridoio con tavoli e sedie e pouf imbottiti, una sala per le video proiezioni, un’altra con la cupola e il tappeto con gli alberi dell’Orto Botanico di Roma e un divano circolare sul quale sedersi quando vogliamo stare più vicini. In corridoio possiamo ospitare una ventina di bambini; nella sala col video proiettore possiamo arrivare a trenta, quaranta pigiati, nella sala con la cupola già in trenta stiamo stretti.
È uno spazio che richiede attenzione e rispetto nell’uso, e già in questa necessità c’è la sua funzione educante. La conservazione di questo spazio, che racchiude una memoria così importante e un così importante lascito, è una mia grande preoccupazione.
Una delle cose che mi preme - ora che per quasi tutti la biblioteca è bella e importante perché i suoi locali sono belli, decorati, spettacolari-, è che tutti imparino a vedere, e non solo gli addetti ai lavori, che una parte fondamentale di questa bellezza sta nei libri che sono stati scelti. Ovvero che le persone imparino a cogliere la parte immateriale, invisibile di questo progetto: la sua anima che molto ha a che vedere con la persona meravigliosa a cui è dedicata.
Senza il dono di Luca e Daniela la biblioteca non ci sarebbe, ma non ci sarebbe la bellezza dei libri se non ci fosse stato un lettore come Alessandro, così sensibile e attento alla bellezza delle parole e delle immagini, capace di trasmettere questa bellezza non solo ai suoi compagni ma anche a me, anche agli adulti.
Per questo è così importante che sia riconosciuta la bellezza dei libri e l’uso che se ne può fare: bellezza magari meno vistosa di quella dello spazio che è stato creato per darle il massimo risalto, ma che garantisce e garantirà alla biblioteca la sua vitalità e il suo scopo nel tempo.
La bellezza nelle scuole italiane è una grande assente e quando, miracolosamente, si riesce a realizzarla si verifica una corsa a farla propria, in un consumo vorace e inconsapevole del prezzo che ha comportato in termini progettuali.
È una grande assente non solo nella realtà quotidiana degli spazi, ma perfino nell’immaginario di chi abita la scuola, per l’abitudine di vedersi circondati da muri degradati, mobilia decrepita, bagni fatiscenti e privi dei più elementari requisiti di dignità, infiltrazioni, finestre che non si chiudono. Invece la bellezza è fragile e preziosa e va preservata e protetta attraverso un uso responsabile e consapevole. La nostra biblioteca, così bella e luminosa, è qui per ricordarcelo ogni giorno.
* Sono una docente di scuola primaria dal 1983, ho lavorato sia come insegnante di classe che, a lungo, come insegnante di sostegno. Ho insegnato un anno, nel 1982, nella scuola per l'infanzia. Ho una specializzazione per l'insegnamento dello spagnolo. Dal 2007 mi occupo della biblioteca scolastica della scuola Giovanni Randaccio, a Roma. Amo da sempre la letteratura per l'infanzia e i bei libri e coltivo questa passione studiando e leggendo.