Dal chiasso alla parola / 4. Nel grande mistero

Una buona ragione perassegnare i Nobel per la letteratura è quella, molto concreta, difare uscire dall'ombra della fama settoriale (o nazionale o dell'arealinguistica) talenti eccezionali, perché i lettori di tutto ilmondo ne possano godere. È accaduto nel 1996 con la Szymborska,autrice poco prolifica che si è guadagnata fama eterna con duecentoliriche (o almeno così narra il mito) - e sia lode eterna agliattempati accademici di Svezia che sembrano così rigidi, grigi eistituzionali, e invece hanno l'occhio lungo e vispo -, e con tanti altriscrittori.
Nel 2011, è stata la volta del poeta svedeseTomas Tranströmer (in Italiaedito da Crocetti). Claudio Magris,che nel 2004 gli ha assegnato il Premio internazionaleNonino, definisce la sua “una poesia orfica che esortal'ineffabile”. Oggi qui, però, parliamo di Tranströmer perla sua breve, e imperdibile, autobiografia d'infanzia e adolescenza I ricordi mi guardano pubblicata daIperborea che ha il merito di traghettare fino alle nostre spondemediterranee perle sconosciute della cultura nordica.

Tranströmer,che nella vita ha esercitato la professione di psicologo presso uncarcere minorile e in un ufficio di collocamento statale, mette manoai suoi ricordi infantili con misura e capacità di sintesi. In menodi ottanta pagine, dà conto al lettore della complessa età infantile,e della giovinezza, vedendone in trasparenza la profondità e ricchezzada fondale marino. E, in otto laconici capitoli, dall'acqua tersa dellamemoria porta alla luce scintillanti campioni di memoria e vita interioreche a chi legge fanno l'effetto di vere e proprie illuminazioni. D'altraparte, come si legge nella breve e bella nota di Fulvio Ferrari:«Significativamente questo breve libro di ricordi si conclude con lascoperta, da parte del Tranströmer liceale, della metrica classica,della capacità della forma di elevare il banale al sublime, di rilevaregli abissi di senso che si nascondono dietro le apparenze del quotidiano,abissi che una lingua non poetica non è in grado di circoscrivere etantomeno di afferrare.» Convinti come siamo, insieme a Kipling (frai tanti), che i primi anni della vita umana rappresentino un momentodi importanza centrale nella formazione dell'identità (idea alla basedella collana Anni in tasca,narrativa e graphic), ci sembra necessario segnalare questolibro a chi coltivi la medesima idea. Sono stata molto incertasul brano da scegliere, per offrire un saggio della scrittura edella tonalità emotiva di questo libro. Alla fine mi sono risoltaper questo, dedicato ai musei.


Più o meno ogni due domeniche andavo al museo di StoriaNaturale. Prendevo il tram fino a Roslagstull e facevo gli ultimichilometri a piedi. La strada era sempre un po' più lunga di quantonon pensassi. Ricordo benissimo queste spedizioni, tirava sempre vento,il naso gocciolava, gli occhi lacrimavano. Non ricordo invece nessunpercorso inverso, è come se non fossi mai tornato a casa, ma soloandato, in un perenne pellegrinaggio pieno di aspettative, moccioso elacrimante, verso il colossale edificio babilonico.
All'arrivo ero salutato dagli scheletri deglielefanti. Quasi sempre andavo direttamente al reparto «vecchio», coni suoi animali imbalsamati già nel Settecento, in parte impagliati inmodo piuttosto rozzo, con le teste gonfie. Eppure c'era in quel luogo unamagia particolare. I grandi ambienti artificiali con i loro modelli dianimali realizzati con eleganza, al contrario, non mi attiravano – eraun forma di illusionismo, roba da bambini. No, doveva essere chiaro chenon si trattava di animali vivi. Erano imbalsamati, erano al serviziodella scienza. La scienza cui mi sentivo vicina era quella di Linneo:scoprire, raccogliere esaminare.

Ilmuseo veniva esplorato da cima a fondo. Mi soffermavo a lungo fra lebalene e nel reparto di paleontologia. Poi arrivava il reparto dovemi trattenevo di più: gli invertebrati. Non avevo mai contatti connessun altro visitatore. In effetti non ricordo nemmeno che ce nefossero, di visitatori. Gli altri musei che mi capitava di visitare– il Marittimo, l'Etnografico, il Tecnico – erano sempre pienidi gente. Il museo di Storia Naturale, invece, sembrava apertosolo per me.
Un giorno mi imbattei inun mio simile. No, non un visitatore, un professore o qualcosa delgenere. Lavorava al museo. Ci incontrammo nel reparto degli invertebrati,si materializzò improvvisamente fra le vetrine, quasi piccolo come medi statura. Borbottava fra sé. Intavolammo subito una conversazionesui molluschi. Era così distratto o privo di pregiudizi che mitrattava come un adulto. Era uno di quegli angeli custodi che ognitanto apparivano nella mia infazia e mi sfioravano con le loro ali. Laconversazione portò al permesso speciale di accedere a un reparto nondestinato al pubblico. Ricevetti un sacco di buoni consigli su comeimbalsamare i miei animaletti e rifornito di provette che sembravanofar parte di un'attrezzatura veramente professionale.
Collezionai insetti, e soprattutto scarafaggi, dagliundici anni fino, più o meno, ai quindici. Poi furono gli interessiconcorrenti a prevalere, soprattutto artistici. Che malinconia chel'entomologia dovesse cedere loro il posto! Volli convincermi che fossequalcosa di temporaneo. Di lì a una cinquantina d'anni avrei ripreso acollezionare.


L'attività cominciava in primavera, ma naturalmenteera soprattutto d'estate che fioriva, nell'isola di Runmarö. Nellacasa di campagna, dove non avevamo che pochi metri quadri per muoverci,c'erano barattoli di vetro con insetti morti e una teca per le farfalle. Esopra ogni cosa aleggiava un odore di etere che fluttuava anche intornoalla mia persona, visto che avevo sempre in tasca un barattolo diquel prodotto insetticida. […]
Erosempre fuori in perenni spedizioni. Una vita all'aria aperta senzail minimo interesse salutistico. Non avevo ovviamente alcun puntodi vista estetico sulle mie prede – si trattava di Scienza – masenza rendermene conto feci molte esperienze di bellezza. Mi muovevonel grande mistero. Imparavo che la terra era viva e che esistevaun mondo infinitamente grande che strisciava e volava e viveva lasua ricca vita senza curarsi minimamente di noi.
Una frazione di frazione di quel mondo l'avevo catturata eappuntata nelle cassette che posseggo ancora. Un mini museo segreto cuiraramente rivolgo il pensiero. Ma sono sempre lì, gli insetti. Come seaspettassero il loro momento.

Le immagini diquesto post sono del fiammingo Jan van Kessel, (Anversa, 1629-1679), appartenenti alla serieInsects and fruit.