Quest’estate, fra i libri portati in vacanza,alcuni sono stati oggetto di letture particolarmenteappassionate e partecipate. Uno di questi si intitola Insegnareal principe di Danimarca, di CarlaMelazzini.
Con le sue parole, per questa ragione, inauguriamo una rubricaalle parole destinata: speculare e gemella di quella dedicata alleimmagini. Lo facciamo con un brano tratto da un capitolo che ha un titoloemblematico e bellissimo: Dal chiasso alla parola,che prendiamo a prestito per questa rubrica (frasi evidenziate innero a cura della redazione).
The Alphabet fromn9ve on Vimeo.
J. Bruner, La fabbricadelle storie
Alla domanda quale sia la parte più significativa delProgetto «Chance» per i docenti, si potrebbe rispondere che esso offreall'insegnante l'opportunità inestimabile di ripartire dal grado zerodella parola.
È come se,nel momento in cui il ragazzo viene invitato a siglare volontariamente unnuovo patto educativo con persone di cui si fida, una esperienza dolorosadi fallimenti e rifiuti gli fornisse la legittimazione a fondare il pattosu una sfida: la parola non è un diritto acquisito, ma si deveconquistare insieme: alunno e docente.
Per ildocente è una riconquista del senso delle parole, perché il ragazzonon è disposto ad accettare parole che siano prive di significato perlui.
Non è facile perun docente accettare di essere zittito, ma se riesce a sostenerlo, siapre un percorso educativo molto ricco per entrambi.
Nel libro citato all'inizio, Bruner afferma che «creiamoe ricreiamo l’identità mediante la narrativa», che «il séè un prodotto del nostro raccontare», e che «la creazione delsé avviene dall’esterno verso l’interno tanto quanto in sensocontrario».
Unlaboratorio dei linguaggi, verbali e non, deve dunque essere unospazio predisposto con cura e amore perché vi possa avvenire ilpassaggio dal silenzio e dal chiasso alla parola e poi alla narrazionerispecchiata e condivisa che costruisce identità.
The Alphabet 2from n9ve on Vimeo.
La ri-conquista dellestorie per i docenti
Al termine dei primi tre anni siamo riusciti finalmente aparlare delle nostre pratiche didattiche. C’è una soddisfazionegenerale per questa esperienza, e insieme circolava la domanda:«Perché non si è fatto tre anni fa?» Chiediamoci: «Si potevafare tre anni fa?» La risposta è no; si è fatto adesso perchéc’era un’esigenza generale di farlo e il senso di poterlo fare ora,e non senza una grande ansia, che nella fase preparatoria ha rischiatodi paralizzare la situazione.
Perché tutta questa ansia e tutto questo tempo? Ancora unavolta realizziamo quanto siamo simili ai nostri ragazzi e il nostropercorso sia simile al loro, nei tempi e nei modi: solo dopo tre annici siamo sentiti sufficientemente sicuri di avere fatto cose buone,tanto da poter ammettere le nostre debolezze e lacune e da affrontareil il confronto in campo aperto. Confronto con chi? Con noi stessi, contutti gli altri colleghi, con il fantasma della scuola che ci portiamodentro.
Anni fa ci siamodetti che Chance avrebbe scosso e ridefinito la nostra identità diinsegnanti, e non ci immaginavamo quanto: qualcuno ha retto all’urto,qualcuno ha eretto difese, tutti abbiamo continuato a chiederci: «Ma iosto facendo l’insegnante o sto solo aiutando dei ragazzi ad acquistareun minimo di fiducia in sé e nella vita attraverso la relazionepersonale che ho stretto con loro?» Se oggi ci siamo messi al lavoroper migliorare il nostro modo di essere insegnanti è perché ci siamoconvinti che quello che abbiamo fatto è scuola vera.
Daquel mucchio sopra al tavolo è emerso un repertorio abbastanza vastodi tecniche e strumenti che abbiamo usato per conquistare spazialla parola (che è il percorso caratterizzante il primo livellodi Chance).
Inquesto repertorio di pratiche, nel quale non è possibile scindererelazione personale e didattica, abbiamo identificato dei nucleifondanti. Il primo è quello che abbiamo concordato di chiamare:insegnare significa dare significato alla parola(e a tutte le attività che se ne servono). Se il significato,per essere tale, deve essere condiviso da insegnante e alunno, nederiva il corollario della reciprocità, nella relazione personalecome nella didattica: che significa accogliere i silenzi, i veti,ma anche gli indizi, i suggerimenti, gli orientamenti da parte deglialunni, pena la perdita appunto, della significanza.