Di appuntamenti, cavalli alati e TomTom

Qualche riflessione in merito a Da grande voglio fare il poeta (ElectaKids) e alle strade della poesia.

[di Azzurra D’Agostino]

La prima volta che ho condotto un laboratorio di poesie per bambini ero più agitata di quelle rare volte che mi hanno chiesto di tenere un incontro all’università. Questo perché le esperienze di anni fatte in questo campo con gli adulti mi pareva che non fossero del tutto pertinenti. La scivolosa sensazione di non essere all’altezza, o un attacco acuto di "sindrome dell’impostore" hanno turbato a lungo le mie giornate all’approssimarsi dell’evento. C’è da dire che ora, incontrate centinaia di bambini, le cose non sono migliorate. Il che penso permetta di provare quella stimolante sensazione di suspance e relativo panico che fa sì che le cose non si ripetano mai uguali, e che nulla venga dato per scontato.

In generale, quando preparo un laboratorio di poesia, penso sempre a quel momento come a una grande occasione: tipo un incontro al buio, dove però la percentuale di trovare un grande amore è sorprendentemente più alta che non su un sito di incontri. Lo scopo finale di tutto questo non è far fidanzare chi partecipa (anche se a volte è successo), bensì innanzitutto condividere le parole dei poeti. A che pro, si dirà, questo sforzo da rappresentante di prodotti dietetici? La risposta non è univoca, ma forse il motivo principale è che nei versi si muove qualcosa che tutti avrebbero il diritto di conoscere, e che è bello e nutriente condividere. Attenzione: non sto dicendo che la poesia è indiscriminatamente per tutti. Sostengo però con forza che tutti abbiano il diritto di sceglierla, esserne scelti, o evitarla, solo dopo averla incontrata davvero. Nonostante la fiducia che ripongo nella scuola, mi sono dovuta rassegnare al fatto che talvolta non è quello il luogo in cui tutto ciò possa sempre accadere. Anche solo perché, banalmente, solo di rado i versi dei nostri poeti contemporanei varcano la soglia di un’aula. E per quanto grandi Leopardi o Pascoli o Montale possano essere, non per questo meno grandi sono De Angelis, Cappello o Ida Travi. Che, tra l’altro, hanno la caratteristica di essere nati più vicini al nuovo Millennio che all’Unità d’Italia e che per cui possono tradurre cose che noi conosciamo in una lingua che non sentiamo come distante, per quanto parole come la montaliana palvese possano avere ancora un qualche fascino in tempi di Guerra Intelligente.

Quindi succede che mi ritrovo con un gruppetto di adulti, in genere non avvezzi alla poesia e alla scrittura, provenienti da mondi diversi: ho incontrato operai, studenti, archeologi, forestali, pensionati, casalinghe, insegnanti, insomma tante storie tutte diverse. Persone che, grazie alla poesia, si sono sedute attorno a un tavolo e hanno iniziato a ragionare insieme su un verso e si sono accorte che quello era come una porta incantata che dava sul mondo in modo nuovo o, anche, una chiave magica in grado di aprire tante porte diverse, trasformando le nostre stanzette delle sale civiche di una qualunque provincia italiana in un castello da esplorare insieme. Quel castello è, per ciascuno, la propria interiorità: il tempo inaspettatamente concessosi a riflettere su di sé, sulla propria casa, sul proprio paese, sul come ci si sente a stare in mezzo agli altri eccetera.

Cosa di tutto questo si può proporre all’interno di un incontro con dei bambini tra i quattro e i dodici anni? Ancora non ne ho la certezza, ma di sicuro posso dire che loro portano un elemento nuovo: l’essere pronti a tutto. Non è qualcosa a cui i grandi si prestano davvero volentieri, anche quando dicono di essere in quello stato d’animo. La vocina giudicante è sempre lì a braccia conserte che aspetta il fallo, per alzare il dito indice e dire Eh, ma ti sembra che puoi dire/pensare/scrivere/fare una cosa così?. I bambini no, nel senso che quella vocina a volte viene da un adulto o dal ricordo della voce di un adulto. In particolare, ricordo un laboratorio in città, a Bergamo, ospite di Teatro Caverna: davanti a me un centinaio di bambini della scuola primaria Don Milani, il che assicuro è un’esperienza travolgente. Fare una domanda ed essere assaliti da una selva di braccia tese, voci che si affastellano, occhi che ti guardano negli occhi come a dire scegli me, io te lo devo proprio dire! Ebbene, il quartiere dove è avvenuto questo si trova in una terra di frontiera, sufficientemente periferico da dare spazio a insinuazioni lego-razziste e convinzioni quali l’importanza dei soldi, degli oggetti e dell’apparire. Avevo invitato i bambini a costruire il loro quartiere ideale e mentre i piccoli (di prima e seconda) si sbizzarrivano in parchi acquatici e allevamenti di draghi di Komodo, i più grandi già faticavano a sganciarsi da supermercati e sale giochi. Il massimo dell’aggregativo, toh, a voler esagerare, una chiesa. Ma, una volta invitati a riflettere su quello che conta per loro, sottolineando che potevano del tutto scartare dall’esistente, che erano liberi sul serio e che potevano suggerire il loro privato modo di essere felici, ecco che qualcosa si è mosso.

Avevo letto prima delle filastrocche e avevamo ragionato insieme sulle parole e sulle cose che ci importano davvero. Alla fine abbiamo scritto una poesia collettiva che fa così:

La felicità è un animale

l’immaginazione

un amico

e anche l’arte

è un sentimento

che mi sento contento

un’emozione

l’abbraccio della mamma

che mi fa far la nanna

la famiglia

andare a casa di Nicola

o a Gardaland

stare con le amiche

o prima di partire per un viaggio

sono i complimenti della maestra

o la mia moto

l’amico che ti tiene la mano

con lui andrò molto lontano.

Non avevo mai pensato che la felicità potesse essere prima di partire per un viaggio. In qualche modo forse lo intuivo, visto che in genere dormo male e viaggiare mi crea agitazione, ma non avevo mai realizzato che quell’attesa piena di auspici è in realtà una delle forme della felicità. Se mi chiedessero a cosa servono i laboratori di poesia con i bambini, domanda che trovo piuttosto bizzarra, direi che servono a questo. A vedere le cose da vari punti di vista, a meravigliarsi, a parlare di sé, ad ascoltare gli altri, e questo vale sia per i partecipanti che per chi conduce, anche perché talvolta i due ruoli si invertono.

L’occasione di raccogliere cento poesie tra tutte quelle prodotte in questi incontri si è presentata grazie a ElectaKids e a Book on a Tree, che hanno deciso di assegnare a me la curatela del volume Da grande voglio fare il poeta. L’ho diviso in due parti: "Pensieri di cose grandi" (che è un verso di Nino Pedretti) dove stanno le poesie più filosofiche, come questa di Camilla, 6 anni:

La mia lettera preferita è C

come Curiosa, Carina,

C come Ci sono, come me.

O questa di Monia, 7 anni, che mi ha fatto commuovere non appena l’ha detta, dopo che avevamo letto L’alfabeto dei sentimenti di Janna Carioli:

Scelgo la parola nostalgia

perché mi mancano la nonna e la zia

che vedo solo in estate quando vado in Sicilia.

La parola nostalgia è sentire una cosa strana

in gola quando vedo le loro foto.  

In una seconda sezione, dal titolo "Pensieri di cose impensate", ho raccolto quei versi che si avvicinavano al nonsense, al guizzo sorprendente, al surreale capace di rivelare tutta la meraviglia del mondo. Ovviamente, le due sezioni sconfinano l’una nell’altra, e talvolta alcune poesie "grandi" potrebbero essere "impensate", e viceversa. Penso al distico di Agata, 8 anni, che mi fa venire voglia di rileggere ancora e ancora Toti Scialoja:

Il giorno coi pidocchi,

la notte con i botti.

O l’immagine aerea, eterea e potente di Sulefa, sempre di 8 anni:

Un cavallo

vola nel cielo.

Ma perché?

Perché è

alato, è Pegaso

il cavallo alato.

Bianco, coi denti

bianchi,

nelle nuvole

bianche.

Non tutti

lo vedono.

Dunque questa antologia porta con sé un insieme di vissuti, ma soprattutto può essere, questo nelle intenzioni per lo meno, versatile dal punto di vista dell’uso che se ne fa. Può essere letta da un bambino, ma anche da un grande, può essere usata come libro ispirazionale per creare proprie poesie, ma anche come strumento di lavoro in classe per insegnanti. Non è un manuale e non è solo un libro di letture: è una delle forme che può assumere la poesia, che – con buona pace di tutti quelli che la vogliono morta, tradita, inzaccherata, imbastardita – continua sulla nostra strada, scegliendo sempre i percorsi meno noti. Mandando in tilt tutti i TomTom del mondo.

Le illustrazioni di Da grande voglio fare il poeta sono di Noemi Vola.