Gli scrittori per bambini non sono senza peccato

Il 20 giugno su Facebook (che per fortuna non è detto sia per destino una macchina per la diffusione di oscenità, idozie, propaganda) Bruno Tognolini ha postato questa riflessione:

Riflessione corta

1) Rime e storie son difficili da fare.

2) Rime e storie valoriali sono facili da fare.

3) Rime e storie valoriali son difficili da fare bene.

4) Rime e storie valoriali fatte male fanno male.

5) Decenni di rime e storie valoriali fatte male hanno fatto male.

Decenni di valori del bene proposti male, con rime e storie impoverite di bellezza, in milioni di mattine di scuola hanno fatto male. Una "grey goo", una colla grigia di parole BUONE ma non BELLE, che perciò son degenerate in BUONISTE, hanno tolto forza ai valori a cui volevano darla, e hanno contribuito (con altri fattori) a far sembrare fresca e scintillante, vera e sincera, questa onda di redenta cattiveria.

Imprecare contro la forza dell'avversario non può esimere dal ragionare sulla nostra debolezza.

Ragionare sulla nostra debolezza significa, per contrasto, ragionare sulla nostra forza.

Ragionare sulla nostra forza è condizione necessaria per rimetterla in campo fresca e scintillante.

Già da ora.

Io dico, racconto e documento queste cose da buon tempo nei miei incontri di formazione con gli adulti.

(segnaliamo che Bruno Tognolini ha ripreso questi temi durante il convegno per docenti di scuola primaria Leggimi ancora. Lettura ad alta voce e life skills, che si è tenuto a Firenze, sabato 20 ottobre, alla Fortezza da Basso. Nel corso del convegno i massimi esperti di lettura, pensiero narrativo e didattica della letteratura hanno esplorato le potenzialità della lettura ad alta voce, uno strumento affascinante, familiare e accessibile per tutte le scuole. Il convegno è la prima tappa di un percorso di lettura ad alta voce nelle scuole primarie di tutta Italia).

Ci siamo trovati in sintonia con le parole di Bruno Tognolini, per questo Giovanna Zoboli è intervenuta con questa riflessione, scrivendo:

Caro Bruno, scusa se mi permetto: all'atto di nascita di Topipittori ho scritto un pezzo pubblicato dal blog letterario Vibrisse, creato da Giulio Mozzi. Si intitola La vera storia di Topipittori (potete scaricare il pdf a questa pagina) e diceva, alla fine, lo cito perché era il 2004 e non mi attirò troppe simpatie, bensì la patente eterna di snob: «Realizzare libri ben fatti, cioè ben scritti, ben disegnati, ben impaginati e stampati, libri non furbi, pensati con serietà, professionalità, competenza, è la miglior cosa che si può fare nei confronti del lettore, sia esso adulto o bambino. È un segnale di rispetto molto concreto, che più di qualsiasi messaggio ideologico o pedagogico pretestuoso, può cogliere nel segno, interessare la persona che legge, fornirgli non idee, ma strumenti di interpretazione e di valutazione a proposito di sé e del mondo che la circonda. Un libro sciatto, fatto in economia di mezzi - non solo materiali, ma anche intellettuali – un libro mal scritto e mal disegnato, può anche raccontare il Vangelo o perché bisogna amare la pace, ma non sarà migliore, per questo. Forse, anzi, sarà peggiore, per la presunzione e l'inganno che sottende.

A questo punto è intervenuta la scrittrice Anna Lavatelli con questo commento:

Giovanna Zoboli, questo è il cuore del tema. Non c’è altro da dire. L’editore fa la differenza. L’editore decide. L’editore sceglie il giusto equilibrio tra qualità e gradimento. E di queste scelte si rende responsabile. Non è snobismo. È vocazione formativa. È progetto sociale. I libri sono prodotti accessibili a tutti, sono strumenti altamente democratici. Molto dipende da cosa si sceglie di pubblicare.» A cui Giovanna ha risposto: «Anna, infatti è questo che non si riesce a fare capire: sono accessibili a tutti, i libri, che sia male o ben fatti. Esiste una 'merce' più democratica?

E quindi Alessia Napolitano, della Libreria Radice-Labirinto di Carpi:

Caro Bruno, le domande che poni sono aperte e meriterebbero ciascuna un approfondimento. Dal mio piccolo e modesto punto di vista - sono solo una libraia di provincia - posso darti il mio pensiero: si edita troppo, l’autore spesso è più importante del libro che scrive (troppe presentazioni, troppi incontri... pare che il libro non si venda più da solo), molti piccoli editori non sanno più riconoscere un buon libro da uno buonista (quanti libri su disabilità, bullismo, depressione, intercultura...? Tanti, troppi, tutti libri scritti a tavolino), gli autori più in voga si bruciano nel giro di pochi anni perché vengono spremuti come limoni, il mercato editoriale è sostenuto al 95% da donne (madri o maestre) che hanno sviluppato un’idea d’infanzia sentimentale, pedagogica e romantica, molte librerie specializzate sono aperte sulla spinta della maternità, l’albo la fa da padrone perché l’adulto non legge più. Ecco il mio parere in soldoni. In mezzo a tutto questo è facile - troppo facile perfino - apparire editori o librai snob. La snobberia però non c’entra nulla, c’entra invece la coerenza, la competenza e il coraggio di far fino in fondo il proprio mestiere. Thierry Magnier a Bologna parlava di rischio. Oggi l’editore e il libraio devono correre dei rischi, fare scelte importanti a scaffale, non comprare/editare libri scadenti, non cedere al lettore che non sa, ma piuttosto guidarlo con garbo, fiducia e umiltà cercando di ampliare le sue scelte e ravvivando il suo senso critico. Perché in mezzo a tutto questo ci sono i bambini e i ragazzi a cui la complessità piace ancora e che sanno illuminarsi d’immenso se hanno per le mani un buon libro. Si editano continuamente libri buonisti. Oggi sono passati due rappresentati e ho scartato più della metà dei loro cataloghi, anzi... forse sarebbe più corretto dire che ho preso solo due libri dai loro cataloghi (di case editrici non di poco conto). Come si fa? Per fortuna poi guardo gli scaffali della libreria e mi dico che è ancora possibile fare i librai oggi, ma che fatica! Io da parte mia sono un po’ depressa, ma non mi arrendo.

Quindi la palla è passata di nuovo a Bruno Tognolini, che ha scritto:

Sai, Giovanna, quello [del ben e mal fatto] è uno dei Rovi del Diavolo, uno dei grandi dilemmi trappola, sempre lì: Nicchia/Massa, Nicchia-Massa, Nicchia#Massa... Quando mia figlia era piccola, 25 anni fa, guardavo con lei in TV i cartoni della Pimpa di Altan. Stremato da dodici anni di teatro di base duro e puro, trasecolavo di speranza: «Ma allora si può! - mi dicevo - Allora qualcuno ci riesce, a partorire questi Ibridi Santi figli di Nicchia e di Massa. Allora forse... non oso dirlo ma... posso sperare di riuscirci anch'io...» Non so se con la Melevisione ci sono riuscito. Le mie filastrocche (470 ne ho scritte) avevano 750mila lettori/telespettatori ogni giorno. Quindi Massa, OK. Nicchia? Erano "belle"? Non tutte, non sempre, non so. So che i miei ex compagni della nicchia del teatro quando mi incontravano strisciavano i piedi di imbarazzo: «Ah, la Melevisione, sì, quel Tonio Cartonio, insomma..». Io adoro la Nicchia, se non si da arie di reggia: la ritengo una vitale riserva di bellezza, di salute, e di speranza. Uno scriptorium dei monaci medievali, che preservavano le parole dei classici mentre i barbari urlavano nudi nei boschi intorno. Un Pianeta Terminus di Asimov, dove conservare e crescere coloro che, per forza "happy few", trasmetteranno la scintilla di luce quando l'Ombra passerà - perché sta arrivando, ma passerà. Voi Topi forse non vi sentite Nicchia, ma non siete certo Massa. Si può essere fedeli a se stessi solo nella Nicchia? Solo Altan, con la Pimpa è riuscito a uscirne? Non lo so. Forse ora più che mai le Nicchie saranno davvero ricettacoli preziosi di brace, per riaccendere fuochi dopo l'Inverno. Giovanna, ti prego, intorno a questo inverno leggi qui, quattro mie torce-talismani: TOLKIEN, ELIOT, RILKE, PETER GABRIEL.

E in un altro commento, scrive Bruno:

Mi spiego, e parlo anche a Giovanna, che pone la qualità dei libri come derivante "dalla qualità del lavoro che si fa all’interno della struttura che li produce", cioè della casa editrice. Semplifico con consapevole nettezza: è il processo che determina il prodotto, o il prodotto che all'indietro informa il processo? L'albero è un supporto per il frutto, e il frutto per il seme? O sono insieme parte di un sistema, un ciclo organico che può funzionare bene o meno bene? A seconda di mille varianti, di cui forse novecento misteriose?

Le mie migliori amiche libraie sono, come qui Alessia Napolitano, da anni un po' mortificate. Non girano bei libri, dicono. E noi cosa mettiamo negli scaffali, cosa raccomandiamo al clienti, chi chiamiamo agli incontri? Perché? Colpa o causa di chi? Della Letteratura o dell'Editoria? Non ci sono buoni scrittori che scrivono o non ci sono buoni editori che li "producono"? Gli scrittori stanno scrivendo male? O stanno scrivendo troppo? O stanno scrivendo in troppi? Gli editori, travolti dal modello industriale occidentale del consumo illimitato e bla e bla, stanno sfornando troppi libri da vendere purché sia, promuovendo scrittori "todos caballeros"? Come è che si è messo a ruotare e prillare così vorticoso questo santo mandala Jin/Yang Processo/Prodotto, Letteratura/Editoria?

E se mai fosse ("bocca tua santa!", dicono a Cagliari) che invece fra un po' di anni rallentasse, pian piano si fermasse, e pian piano cominciasse a girare al contrario, e cominciassero a circolare nei giorni tanti bei libri, di chi sarebbe il merito? Della Letteratura o dell'Editoria?
The answer, my friend, is blowing in the wind. Sarebbero tutti e due da lodare molto.

Qualche giorno prima di questo scambio, Jane Says, ottima bibliotecaria di Sala Borsa, a Bologna, al secolo Nicoletta Gramantieri, in merito alla vicenda della bibliotecaria di Todi Bernardini, esonerata dal suo ruolo Sindaco per non aver voluto eliminare dal catalogo della biblioteca alcuni titoli reputati 'impropri',  aveva scritto una interessante riflessione a margine che riportaiamo col suo permesso:

Sulla bibliotecaria di Todi e sulla censura. Naturalmente concordo su quanto letto e detto e comunicato (in primo luogo dall’AIB, qui) in questi giorni e negli anni passati quando la censura di libri che raccontavano la varietà del mondo colpì Verona e altri luoghi.

Però mi interrogo e mi chiedo se noi bibliotecari, insieme ad altri che si occupano di promozione della lettura, qualche colpa non l’abbiamo. Credo innanzitutto che tutta quella promozione della lettura basata sull’idea che i libri debbano servire a qualcosa di pratico (a lasciare il ciuccio, il vasino, a riflettere sul bullismo, a passare dalla materna alla primaria, a raccontare lo scorrere delle stagioni, l’omossessualità, la morte, la separazione dei genitori, il ciclo dell’acqua) abbia nuociuto alla letteratura, riducendola a strumentino pratico atto a tutte le bisogne. Strumentino che tutti possono usare per ogni scopo, non solo chi ha le necessarie conoscenze e competenze per farlo, ma proprio chiunque (basta vedere il proliferare di pagine, gruppi, blog che si occupano di letteratura per l’infanzia e per ragazzi). Chiunque include anche amministratori timorosi e in malafede. Credo poi che noi bibliotecari fatichiamo davvero ad affermare la nostra professionalità. Credo che a volte siamo un po’ deboli in conoscenze e competenze e che la collega di Todi (competente e colta) abbia patito di questa rappresentazione sociale che denigra la professione. Io lo vedo come mi guardano all’anagrafe quando dico che sono bibliotecaria. Vedo una sorta di compatimento, un pensiero che dice “sarai approdata lì perché di meglio non hai trovato”.

Poi ho racconti così. “Oggi alla biblioteca di XXX ho dovuto dire ai bibliotecari di fare silenzio”. “Perché?” “Guardavano dei video su Youtube”. “Non ci credo” “Ti giuro, ma non so se proprio erano bibliotecari, forse erano volontari, o tirocinanti o quei signori che prendono le borse. Non si capisce molto lì.” Ecco, così, mi interrogo.

Insomma, avete capito: scrittori, editori, librai, bibliotecari, ci stiamo interrogando tutti su questo tema dei libri (buoni o cattivi), dei processi creativi ed editoriali, che poi non sono altro che la qualità del lavoro che si fa per, su, con, nei libri destinati a bambini e ragazzi. È una cosa molto proficua questa discussione che evidentemente è molto sentita, e pertanto da da non lasciare cadere, un segnale di vitalità da ascoltare, a cui dare seguito, in rete, ma anche nel proprio operato, quotidianamente: nei gesti, nelle rilfessioni, nelle parole, nelle scelte. Consapevolmente.

Le immagini di questo post si riferiscono alla libreria Radice-Labirinto di Carpi, specializzata in narrativa, albi e libri illustrati.