La sconfinata dimensione del nostro stupore

Ayutthaya, Phra Ram Park, altare conofferte.

I thailandesisono il classico popolo in grado di venderti qualsiasi cosa. Una frale più facili è il giro in elefante. Ovunque tu sia, in Thailandia,puoi saltare su un elefante e andarti a fare un giro, di solito breve ecostoso. Ma siccome sei su un elefante, non hai proprio alcuna ragioneper farla troppo lunga. Nessun mezzo di trasporto ha un naso tantomagnifico e zampone più silenziose, e tanto basta.

Mediamente, un occidentale ha rapporti con gli elefanti all'iniziodella sua vita. Di solito accade in uno zoo, dove qualcuno nei pressidel pachiderma vende noccioline. Rapito da una creatura che tantoeccede la normale misura delle cose, il piccolo tende la nocciolina,il nasone umido si avvicina, gliela prende delicatamente dalle manie, facendo sfoggio di bravura, la infila in quella bocca che sembrasempre sorridere, un po' come quella del Budda.


Ayutthaya, Phra Ram Park, altare conofferte.
Ayutthaya,attrazioni turistiche nei pressi di un fintissimo mercatogalleggiante.



Ayutthaya, Wat Putthaisawan, Buddadisteso.

Più spessogli elefanti escono dalle pagine di un libro illustrato, a bordo diauto scarlatte o vestiti come damerini, oppure appaiono sullo schermodella tv, agitando le orecchie nei pressi di una affollatissima pozzad'acqua di qualche pianura africana, sul far del tramonto. Terminatoquesto periodo, un occidentale difficilmente si ritrova a pensare aglielefanti come a qualcosa che lo riguardi.

E poiall'improvviso arrivi in Asia. Dove gli elefanti, oltre a essere istoriatisugli sciacquoni dei wc sette stelle, sono dappertutto: borse, pantaloni,gonne, gonnelle, tende, tovaglie, comodini, cassettoni, vasi, lanterne,scarpe, collane, pouf, poltrone, automobili, bus, manifesti, borsinedella spesa, caramelle, farmaci, ovviamente templi, ciondoli, anellie persino lampioni...
Insomma è una vera e propria orgiaelefantina. Nemmeno la tigre gode di tanto prestigio e celebrità.

Bangkok, MuseoNazionale, fregio.



Bangkok, statua di elefante in unospartitraffico.



E naturalmente, siccome la realtà superal'immaginazione, non c'è angolo da cui non salti fuori un elefanteattrezzato per farti fare una passeggiata. E quando questo elefante apparedal nulla, tu all'improvviso scopri che dentro di te, in un posticinopiccolo piccolo e insospettabile, fino a quel momento rimasto latente,sopito da tempo immemorabile ma vivo e pulsante, non hai desiderato altroche saltare su elefante.

Ayutthaya, Phra Ram Park, ragazzi in gitascolastica.

Non saiesattamente per quale ragione questo accada, sai benissimo che saràdeludente, che chi te lo propone sta biecamente speculando su te esull'elefante, che su quello stesso povero elefante sono saliti frottedi enigmatici giapponesi, ilari americani, britannici bianchi comemozzarelle, famiglie di francesi scontenti e polemici, corpulente signoretedesche, giovanotti olandesi, chiassose comitive italiche, magnati russicon mogli sedicenni, meditabondi cinesi.
A nulla soccorrela logica: scopri che decenni di buon gusto e letture non hanno alcunpotere. Il buon senso sembra girare a vuoto.
Tu VUOI saliresu quell'elefante, cascasse il mondo.


Ayutthaya, nei pressi del finto mercatogalleggiante.

Ci deviandare: punto. È una questione di principio. Ti sembra che la vita nonabbia gusto, se non ti trovi a ondeggiare su quel groppone rugoso.
Ovviamente, come ormai vi sarà chiaro, io quest'estate, inThailandia, SONO ANDATA sull'elefante. In un bananeto. E dopo homangiato le banane fritte.
Non ditelo a nessuno.

E bentornati dalla vacanze.


PS
Il mio elefante era un tipo campagnolo, arrangiatoalla bell'e meglio: una panchetta sul groppone, due cuscini sdruciti, unavecchia coperta che doveva averne viste delle belle, non un finimento,e una guida che gli ciangottava affettuosamente in thailandese sullatesta ciondolona.

Ayutthaya, Phra Ram Park, elefante in attesa dituristi.

Inalcune città, però, mi è capitato di vedere elefanti extralusso, bardati a festa, con ombrellini rosso fuoco, poltroncinein velluto, sete, nappe, volant, e abbinate elegantissime guide incostume tipico.

Devo dire che i passaggeri,in quel caso, mi sembravano vagamente attoniti. E se non temessidi esagerare, li definirei tramortiti dalle circostanze, fra cocentevergogna e dissimulato imbarazzo. Come uno che sia stato beccato nel belmezzo di un sogno sfrenatamente infantile e non sapesse come darne (edarsene) ragione.


PPS

Ayutthaya, nei pressi di un mercatogalleggiante.

Quando hovisto l'elefante che mi avrebbe portato in gita, mi è parso curiosamentepiccolo. Come se qualcuno, durante la notte, l'avesse un po' sgonfiato. Osi fosse ristretto per un lavaggio troppo energico. Naturalmente,affinché l'esaltazione del momento preservasse intatta la suafragranza, ho subito censurato questa impressione. Qualche giorno,dopo, però ho scritto a un'amica, confessandogli questa sorta didelusione dimensionale. E lei mi ha dato una risposta folgorante:che cioè di solito gli ultimi rapporti che si hanno con gli elefantirisalgono all'infanzia. Quando, date le nostre ridotte dimensioni e lasconfinata dimensione del nostro stupore, ci sono apparsi immensi.

Equesto è il testone setoloso del mio elefantecampagnolo.



Enon è affatto vero che gli elefanti hanno paura deitopi.
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