Ragazzi, vestiamoci bene

Proseguono gli interventi su quello che sta accadendo nelle scuole, virtuali e non, a insegnanti, ragazzi, bambini, famiglie. Oggi a riflettere con noi è un'insegnante di scienze delle medie, da Modena, che ringraziamo. Che queste riflessioni siano importanti, ce lo dice il riscontro che hanno avuto, in questi giorni, e da come i nostri lettori le accolte. Un editore anche quando è impossibilitato a progettare, realizzare e vendere libri, come accade ora, ha molti modi per fare cultura, attingendo al pensiero collettivo, all'esperienza condivisa, utilizzando le risorse preziose che mette a disposizione la rete.

[di Barbara Cuoghi]

Se sei mesi fa mi avessero detto che avrei potuto fornire un contributo alla salute nazionale stando a casa a far lezione in pigiama avrei fatto una sonora risata. Invece, spesso accade che la realtà superi la fantasia e, come diceva Italo Calvino, la fantasia è un posto dove ci piove dentro.

Così dentro ci sono piovuti prima i compiti assegnati solo via registro on line, poi ci sono piovute le videolezioni con i gatti che camminano sulle tastiere, con i figli dei professori e i fratelli degli studenti che alle loro spalle gridano che vogliono i biscotti, con i ragazzi divertiti di sbocciare insieme sullo schermo, con gli insegnanti che si arrabattano per imbastire un’ora didatticamente sensata, ma non pesante; significativa, ma rassicurante; utile, ma coinvolgente.

Il bello è che nell’emergenza c’è piovuta dentro l’estemporanea e sorprendente adattabilità dei ragazzi, della stragrande maggioranza delle famiglie e degli insegnanti, l’enorme mole di aiuti proposti dalle case editrici specializzate per la scuola e non solo; ci sono piovute dentro tutte maestre, scrittori ed educatori in genere che si prestano a letture ad alta voce; c’è piovuto dentro tutto il materiale RAI, un archivio immenso, video e radiofonico e tutti i siti e le piattaforme dichiaratamente didattici; c’è piovuto dentro un fiorire di scambi tra insegnanti, consigli su video, webinar, lezioni già fatte, presentazioni power point, indicazioni tecniche, articoli e libri da leggere e commentare.

Il brutto è che tutto questo piovere ha fatto venire a galla la nostra disorganizzazione cronica, l’affanno a mantenere il passo come docenti singoli, che si sostanzia poi nelle azioni non sempre all’altezza delle aspettative delle comunità educanti nella loro interezza, cominciando dalla disomogeneità nelle risposte all’emergenza nelle sezioni della stessa scuola. Sono piovute, per poi venire a galla, tonnellate di circolari perditempo e documenti non compilati dai genitori quando era ora, per cui Gianbaldo non ha le credenziali per accedere a classroom e a casa di Maria Jennifer nessuno si ricorda più la sua password (“Ma veramente ce l’avevi?”).

Si sono rese evidenti la tendenza degli adulti alla lamentatio e l’atavica lentezza di reazione che ci zavorra davanti al cambiamento, anche quando  imposto per cause di forza maggiore.

Per i ragazzi andare a scuola significa, volenti o nolenti, costituire una comunità e relazionarsi con i pari e con gli adulti, apportare contributi, condividere opinioni ed errori, costruire percorsi tutti insieme, faticare e divertirsi, respirare la stessa aria.

Nei prossimi giorni, settimane pare, si tratterà di far piovere dentro a questa situazione, che continua a essere straordinaria (nel senso di fuori dell’ordinario), tutte queste cose difficilissime e preziose.

Da due settimane entro nelle cucine e nelle camerette dei miei ragazzi, chiedo loro di rispettare i nostri ruoli (“Ragazzi, vestiamoci bene almeno dalla vita in su!”) e le consegne, di continuare a scambiarci idee e parole, per mantenere un minimo di normalità ed un legame che passa attraverso questo rarefatto modo di esserci.

Certo non sarà mai lontanamente paragonabile a condividere di persona il tempo e lo spazio, ma per ora non ci sono alternative praticabili.

In questo momento per l’insegnante, o almeno per me, l’acrobazia più difficile è stabilire una ratio: da una parte non lasciarmi travolgere dall’ubriacatura delle opportunità che la rete ci offre e dalla mole di comunicazioni di ogni tipo che arrivano attraverso ogni canale, dall’altra resistere alla tentazione di nascondermi dietro alle parole digitate sul registro e limitarmi ad assegnare pagine di compiti.

Queste giornate serie, cariche di incertezza e per molti versi pesanti, a ben vedere hanno anche un portato positivo. Personalmente ho maturato alcune convinzioni, me ne vengono in mente un paio al volo: a parità di prezzo, allo studente medio serve più un tablet che il sedicesimo paio di scarpe da ginnastica; sperimentare nuovi canali di comunicazione e modi diversi di fare lezione non conduce l’insegnante a morte certa, nemmeno se cinquantenne.

In altre parole, quando tutto sarà finito, tra settimane, noi adulti dovremo sederci attorno ad un tavolo e riflettere su come quest’esperienza ci ha cambiato e che eredità ci ha lasciato, soprattutto collettivamente.

Lewis Carroll sosteneva che è una ben povera memoria quella che funziona solo all’indietro.

Ecco, con il senno di poi, sarebbe bello riuscire a declinare quello che stiamo attraversando adesso in una fantasia in cui ci pioverà anche la memoria del futuro.

La mia postazione strategica.