Una storia nata da un vuoto

Quando ho ritirato la busta che conteneva il compito a casa di Valeria, il postino mi ha lanciato uno sguardo strano. In effetti, nonostante fosse chiusa, dalla busta salivano effluvi di vecchietta. Sì, avete letto bene: proprio di vecchia signora con il cachet azzurrino nei capelli altrimenti candidi, il cappottino con il collo di volpe e la borsetta squadrata con spigoli metallici. Ad aprirla, la busta, è stato perfino peggio. Ho pensato a un maldestro tentativo di seduzione olfattiva (col naso che ho…), ma in seguito ho scoperto che si trattava solo di parsimonia, nella forma di un succedaneo artigianale del fissativo acrilico per la grafite, ottenuta mescolando sul foglio lacca Kadonett (fissa morbido morbido) e lacca Libera e bella (libera dalla forfora e bella, veramente bella nei capelli).
Se non fosse stato per questo, il lavoro realizzato da Valeria nelle settimane successive al corso Progettare Libri 2015 sarebbe stato quasi perfetto.
 
 
Un serio problema con i colori [e con la lacca, ndr]
 
Ho un serio problema con i colori, devo dirlo. 
In passato ho avuto diversi periodi monocromatici, c'è stata la fissa da cinquenne per - oddìo, quanto me ne vergogno oggi - il rosa, quella per l'azzurro in fase di ribellione pre adolescenziale quando ho tagliato i capelli cortissimi e ho preso a vestirmi da maschio (erano gli anni '80, quando ancora esisteva una distinzione stilistica fra maschio e femmina), poi c'è stato il periodo del romanticismo verde floreale inglese (per fortuna è durato pochissimo), seguito dal periodo pasolini-poe e dal suo nero dark, e da quello grigio con tratti acidi punk à-la-palaniuk, fino ad arrivare al bianco abbacinante nordico che è iniziato nel 2000 con il mio innamoramento per i Droog design, Roland Barthes, Alda Merini. A questo bianco potevo accostare solo il nero o il rosso.
 
 
 
Ancora oggi il mio immaginario cromatico è dominato da questi tre colori. Sono migliorata se considerate che ora riesco a mettere insieme ben tre colori alla volta.
Tutto questo per dire che la copertina della plaquette a partire dalla quale dovevamo lavorare - una xilografia realizzata al momento da Mara Cozzolino - stampata in azzurro pallido, con tutta quella cornice avorio, proprio non mi garbava e, come prima cosa, l'ho coperta con strati di pesante grafite. Per fortuna il 2 del titolo [Esercizi 2, ndr] era rosso.
 
 
 
 
Poi ho pensato alla magia del lavoro di Mara Cozzolino, che intaglia con infinita pazienza quei blocchi di legno. Potrei perdere ore ad ascoltarla mentre spiega quella tecnica centenaria [xilografia mokuhanga, ndr.] di una cultura così lontana dalla nostra.  Alla tristezza che mi infondevano i protagonisti dei due testi che ci erano stati assegnati per compito, che si amplificava quando pensavo al discorso della matrice e del positivo/negativo: tutto ciò che rimane in rilievo viene inchiostrato e diventa segno con tutta la sua dignità; tutta la materia che viene asportata, legno profondo scavato nel blocco senza il quale il segno non esisterebbe, invece, non lascia traccia, va perduta, rimane un vuoto. A quel vuoto, nella mia storia, volevo dare una parte. 
 
 
 
Ho usato i segni della xilografia di Mara un po' come nell'esercizio che abbiamo fatto al Cansiglio, usando la grafica in positivo e in negativo e lasciando che libere associazioni prendessero forme diverse. Ho poi banalmente trasformato il numero rosso del titolo nel fil rouge della storia, un po' più che un espediente per legare le due storie, se considerate che è anche, materialmente, il filo usato per rilegare il quasilibro.
Sempre nella copertina ho messo il giovane apprensivo cervellotico che fa esercizi di immaginazione, con le sue sinapsi che escono e si mescolano ai segni di Mara, seguito nelle prime risguardie (dove ho lasciato il titolo, esercizi 2, celato in copertina) da un vecchietto arzillo che mi faceva ridere facesse esercizi fisici sempre sui segni di Mara.
 
 
 
 
Nelle pagine seguenti, i segni grafici si attorcigliano a formare una texture fitoforme, alla maniera di William Morris, sul cappotto del vecchio eccentrico, continuano come rami di alberi e ombre di alberi dietro alla chiesa di Pavia come nelle foto di Abbas Kiarostami, e diventano le vie percorse dai vecchi genitori che entrano nella testa dell'adolescente formando strade, fiumi e fulmini nel futuro in città straniere, per finire nelle siepi del labirinto dove la scimmia spettatrice, o deus-ex-machina, taglia il filo rosso della storia (questo viene dalla mia passione per i labirinti, e dopo la visita fatta a settembre al labirinto di Franco Maria Ricci, a Masone, in provincia di Parma).
Tutti questi collegamenti sono spiegati in quelle che ho chiamato 'figurine' nell'ultima risguardia e nel retro. 
 
 
 
Ciò che mi spiace è che, per un mio ottimista e sbagliato calcolo del tempo, non sono riuscita a illustrare la storia del vecchio eccentrico che si collega al giovane apprensivo, e quindi ho aggiunto un'obsoleta appendice - Esercizi per gli occhi e per le dita, guarda meglio immagina meglio - con il collegamento delle due storie descritto a parole, giustificandolo a me stessa come se tutto il legno estruso/escluso dalla xilografia di Mara si fosse portato via un po' di storia con immagini e parole.
 
 
Nei prossimi giorni sarà la volta di Giorgia Atzeni, alla quale si aggiungerà forse qualcun altro.
Il corso Progettare Libri sarà riproposto, sempre a Sàrmede, dal 4 al 9 luglio 2016. Tutte le informazioni sono disponibili qui.
I post già dedicati ai compiti a casa degli allievi del corso 2015 sono qui e qui.