Ripensare la mensa scolastica

[di Federica Buglioni]

Si dice “mensa scolastica” e si pensa a saloni affollati e rumorosi dove un cibo mediocre, che sazia ma non dà gioia, è spesso l’inevitabile prezzo da pagare in nome del valore educativo del mangiare insieme. Per gli amministratori quei pasti sono un costo da sostenere, per i bambini l’ultimo ostacolo che separa dalla libertà del cortile, per molti insegnanti una faticosa aggiunta alle tante cose da fare, per i genitori un motivo di preoccupazione se il proprio figlio, a scuola, mangia male o malvolentieri, per la sostenibilità un colpo pesante. Oggi il 29,5% del cibo servito nella ristorazione scolastica viene buttato via: un dato spaventoso se moltiplichiamo questi 120 grammi di rifiuti pro capite per i 380 milioni di pasti erogati ogni anno dalle mense italiane.

Il momento del pasto al nido e scuola dell’infanzia Clorofilla, di Milano, modello di riferimento nell’ambito della ristorazione scolastica.

Nel suo libro Mangiare a Scuola (Franco Angeli, 2019), Claudia Paltrinieri fa un importante lavoro di sintesi e analisi dei dati sulla ristorazione scolastica pubblica. Dal quadro multiforme e pieno di contraddizioni che dipinge emergono però realtà inaspettate: vere e proprie eccellenze che vantano menu rispettosi delle raccomandazioni dell’OMS, minimi scarti (poi recuperati per fini di solidarietà sociale), un’educazione alimentare che è pratica quotidiana e genera cambiamenti perfino nelle abitudini delle famiglie, cibo appetitoso, locali accoglienti e capitolati ben fatti, nei quali la sostenibilità è requisito contrattuale. L’approccio interessante, nel libro, è che il lettore viene guidato a concentrare l’attenzione non tanto sui caratteri "unici" delle mense migliori ma su quelli ripetibili: i progetti educativi validi, i capitolati ben fatti, le Commissioni mensa che funzionano, le mense partecipate che hanno fortemente ridotto costi e aumentato l’apprezzamento del menu.

I problemi della mensa moderna sono molti e complessi, di carattere economico e politico, come si evince dal contributo di Maurizio Mariani nel capitolo dedicato al gusto e alla competenza dei cuochi.

Il momento del pasto al nido e scuola dell’infanzia Clorofilla, di Milano, modello di riferimento nell’ambito della ristorazione scolastica.

L’evoluzione della mensa scolastica

[di Maurizio Mariani, direttore di Eating City]

La mediocrità della mensa scolastica italiana è frutto, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, di un processo di industrializzazione del comparto, generato dall’approccio delle Pubbliche Amministrazioni che hanno puntato alla riduzione dei costi, trattando il servizio di ristorazione collettiva come una semplice utility e le materie prime come delle commodity. 
In quest’ottica vince, sia pur molto spesso in modo mascherato, il concetto della gara al prezzo più basso e non tanto quello cosiddetto dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
 Paradosso del paradigma odierno è che nel corso di questi ultimi vent'anni si sono impoveriti, a monte, il comparto della produzione delle materie prime e, a valle, le stesse imprese di ristorazione, a tutto vantaggio del Middle Man, ovvero dei soggetti intermediari che si frappongono tra i due attori principali, offrendo servizi logistici capillari e una ampia gamma di prodotti “processati” disponibili in qualunque momento dell’anno a dispetto della stagionalità e della freschezza degli ingredienti. 
In questo paradigma i perdenti sono molti: la mensa, impoverita nel suo potenziale educativo originario, dove il tempo mensa era tempo scuola indispensabile per insegnare ai bambini il valore del cibo; i bambini, per gli effetti ben noti delle cattive abitudini alimentari sulla salute; i reali produttori, i cui margini si sono ampiamente ridotti; la collettività, che manifesta uno scontento che spesso sfocia in conflittualità; l’ambiente, per effetto dell’incremento delle emissioni in atmosfera derivanti dalla logistica primaria (le cosiddette Food miles) e dalla notevole quantità di rifiuti generati a valle del sistema.

A Serravalle d’Asti i Bimbisvegli, gli allievi del maestro Giampiero Monaca, pesano gli scarti a fine pasto. Comincia così un percorso di consapevolezza che porterà la scuola a trovare soluzioni normative per recuperare e donare cibo ai bisognosi.


Claudia Paltrinieri è la fondatrice di Foodinsider, l’osservatorio indipendente delle mense scolastiche che diffonde ogni anno la classifica dei menu scolastici italiani, elaborata attraverso un questionario a punti ideato dell’ASL2 di Milano. Dal 2015, anno della prima pubblicazione, il rating di Foodinsider ha dato crescente trasparenza a una realtà piena di ombre ma nel contempo ha innescato meccanismi di competizione virtuosa: un numero crescente di Comuni ha cominciato a confrontarsi con le best practice al vertice della classifica, nel tentativo di ridurre gli scarti, migliorare la qualità del cibo, contenere la conflittualità sociale generata da servizi insoddisfacenti e migliorare così la propria reputazione, a tutto vantaggio del consenso politico.

Arredi curati e spazi accoglienti in un refettorio di Bolzano.

Che cosa rende buona una mensa scolastica? Per riuscire a mettere nel piatto un cibo gustoso e sano, che i bambini mangino volentieri senza generare sprechi, servono competenze e di varia natura, che chiamano in causa la professionalità dei cuochi, degli amministratori e degli insegnanti, nonché una partecipazione delle famiglie attraverso la Commissione mensa. Non basta, quindi, che gli alimenti siano cucinati, trasportati e serviti nel modo giusto e che siano adeguati in termini di qualità e quantità (cosa non ovvia: oggi, nella scuola primaria, ai bambini di 6 e 10 anni è destinata la medesima porzione). Il buon cibo deve essere accompagnato da attenzione educativa e da una visione più ampia, che restituisca valore al territorio, come avviene quando gli scarti sono contenuti, i materiali usa-e-getta eliminati e gli ingredienti acquistati a filiera corta, dai produttori locali. Un esempio di buona mensa è quello di Cremona.

Il momento del pasto al nido e scuola dell’infanzia Clorofilla, di Milano, modello di riferimento nell’ambito della ristorazione scolastica.

Il caso della mensa scolastica di Cremona

La mensa scolastica di Cremona si è posizionata per due volte consecutive al primo posto nel rating dei menù scolastici di Foodinsider e al secondo posto nell’indagine sul “pasto sostenibile” del 2019. Un riconoscimento, dunque, che si consolida e che conferma un’idea di mensa che ha trovato la sintesi equilibrata tra piatti gustosi e alimentazione sana. La regia di questo risultato è in mano all’Amministrazione, che mantiene un controllo serrato sulla qualità e detta le regole attraverso la governance del servizio. Che la mensa funzioni emerge anche dai dati relativi al gradimento delle famiglie (nelle scuole dell’infanzia) che raggiunge un consenso superiore al 90%. 
Cremona è un esempio perfetto di Amministrazione che è riuscita a instaurare un buon livello di collaborazione tra il fornitore esterno, che impiega personale e strutture, e cuochi e cucine alle dirette dipendenze del Comune. Si parla di 32 cucine, più di 40 cuochi tra interni ed esterni e 3.000 pasti al giorno al costo di € 5,00, in parte coperto dalle famiglie e in parte dal Comune. 
Questa mensa è il punto d’arrivo di un percorso iniziato nel 2007, quando sono state pubblicate le raccomandazioni del WCRF che Silvia Bardelli – responsabile delle politiche educative del Comune e quindi anche del servizio di ristorazione scolastica – ha voluto progressivamente integrare in maniera concreta nel menù scolastico. Sono comparsi i primi piatti con cereali integrali, sono aumentati i legumi, sono diminuite le carni rosse e piano piano spariti i salumi. 
Si è trattato di un percorso a ostacoli che non ha visto tutti d’accordo da subito, ma l’approccio si è fatto strada giocando la carta del gusto e dell’educazione, due leve essenziali che hanno coinvolto cuochi e insegnanti in un lavoro di squadra che ha fatto la differenza: questa convinzione condivisa sull’opportunità di mangiare con gusto per alimentare la salute ha permesso al cambiamento di mettere radici. La formazione del personale di cucina e degli insegnanti come promotori di una cultura del cibo di qualità e del piacere del gusto è stata, ed è tutt’ora, la chiave per promuovere dei menù che si distinguono rispetto al panorama italiano. Abbiamo chiesto a Silvia Bardelli le ragioni di questo posizionamento così distintivo all’interno della classica dei menù, da cui emerge chiaro il valore della formazione che alimenta competenza e motivazione nei cuochi.

I cuochi e le cuoche delle mense di Sesto Fiorentino, protagonisti di una rivoluzione gastronomica che comincia con la formazione e la rinuncia ai semipreparati. Due volte al mese rompono a mano quattordicimila uova fresche.

I cuochi formati e motivati alla base della qualità dei piatti 


[di Silvia Bardelli, tecnologo alimentare specializzato in Nutrizione e responsabile della mensa scolastica di Cremona]

Credo che uno dei valori distintivi della mensa scolastica di Cremona sia quello di avere dei cuochi formati e motivati a sperimentare, innovare, migliorare il servizio di ristorazione, sia per il bene dei bambini che per il piacere di lavorare bene. I nostri cuochi – sia quelli dipendenti del Comune, a gestione diretta (cucina sul posto) sia quelli che lavorano nel servizio con pasto trasportato (comprese le cuoche presenti nelle cucine terminali delle scuole) – interagiscono, condividono la formazione e altri momenti meno strutturati di scambio di esperienze. Pensiamo sia necessario valorizzare la figura del cuoco, anche quello che lavora per il pasto trasportato, che troppo spesso viene svilito.

La formazione dei cuochi è fondamentale e penso che oggi sia importante selezionare cuochi diplomati; il diploma è una buona base ma non è sufficiente, o almeno non lo è, a mio parere, nella ristorazione scolastica. È per questo che anni fa abbiamo cominciato un percorso di formazione coinvolgendo sempre tutti i cuochi (cucina sul posto e trasportata). Abbiamo cominciato con una formazione inerente all’alimentazione e alla salute, per poi passare a una formazione culinaria vera e propria. L’obiettivo è stato quello di porre le basi per creare nuove ricette gustose e salutari e per allargare gli orizzonti in merito alla cucina, agli ingredienti, alle tecniche culinarie. Mi ricorderò sempre cosa mi disse una cuoca al termine del secondo percorso di formazione “culinaria”: “Silvia, lei mi ha aperto un mondo!”. Abbiamo avviato la formazione con un cuoco professionista specializzato in cucina naturale: ha spiegato e cucinato insieme ai nostri cuochi diverse ricette nuove, a base di ingredienti come miglio, riso integrale, tofu e legumi, presentando diverse tecniche di cottura (come la cottura ad assorbimento piuttosto che la tostatura ecc.) e ha fatto conoscere nuovi ingredienti facilmente utilizzabili illustrandone brevemente le proprietà (semi, curcuma, lievito a scaglie come insaporitore ecc.).

Preparazione della pasta fresca: molti laboratorio di cucina si possono realizzare in refettorio o in classe.

I cuochi hanno partecipato con sempre più interesse alle giornate di formazione e si sono trasformati in entusiasti sostenitori manifestando, da subito, la volontà di inserire alcune delle nuove preparazioni nel menù. Sono poi seguiti altri corsi, perché la formazione non è un punto di arrivo ma una costante con cui misurarsi e crescere. Il menù di Cremona di questi ultimi anni è il frutto di un percorso non facile, pieno di ostacoli, inevitabili quando si vuole mantenere rigore rispetto ai principi di una sana alimentazione e alle indicazioni del WCRF. Il nostro menù è il risultato di un lavoro di squadra. Cerchiamo di arricchirlo, mantenendo un occhio attento agli aspetti nutrizionali e di sostenibilità ambientale. Sono sensibilità e competenze che stiamo sviluppando e su cui vorremmo costruire il nostro percorso di crescita nei prossimi anni. Ottenere riconoscimenti come quello del rating di Foodinsider è per il nostro staff un motivo di orgoglio, che ci aiuta ad andare avanti, sicuri che non saremo i soli a seguire questa strada faticosa ma sfidante.

Tutto questo si traduce in un menu che invita a sedersi a tavola.